Da una ventina di anni a questa parte, da quando il crollo del muro ha contribuito a liberare dai freni inibitori una buona parte della borghesia bottegaia italiana, si fa un gran parlare di mercato e concorrenza. Naturalmente gli ordini professionali non si sono sottratti a questo chiacchiericcio, salvo poi, allorché nel 2006 la celeberrima lenzuolata Bersani provò una timidissima liberalizzazione (consistente di fatto in nulla più dell’abolizione dei minimi tariffari), sollevarsi unanimi in un’ondata di proteste, conformemente all’eterno principio del parlar bene per razzolare male.

Da allora, l’ordine degli avvocati in particolare, coltiva l’aspirazione alla rivincita, sognando il giorno in cui i baroni dei grandi studi torneranno, ricchi e spietati come il Conte di Montecristo, a far strame di quel paio di principi liberali – quelli che un ex comunista (per i soliti paradossi della storia patria) si era premurato di introdurre – per ricordarci che in fondo il corporativismo è l’unica religione laica di questo paese.

In soldoni la riforma prospettata per l’ordine degli avvocati mira all’espulsione di una quota rilevante della congerie dei peones, incurante del fatto che pure abbiano passato un esame, a fronte di un numero di avvocati ormai attestato sul paio di centinaia di migliaia, e pazienza se per farlo toccasse passare su principi costituzionali, oltre che sugli interessi dei cittadini che dalla concorrenza traggono sin troppo ovvi benefici.

La cosa singolare – si fa per dire – è che a fronte di una riforma paventata, quand’anche non apertamente avversata, dalla base, i grandi giornali di opinione si profondevano, e profondono tutt’ora, a parlare di grandi speranze della categoria, così confondendo, si può immaginare quanto in buona fede, i desiderata dei grandi feudi della professione con gli interessi affatto difformi della base.

Tuttavia, come usa dire, il diavolo, nella persona quanto mai in parte di Alfano, fa le pentole ma non i coperchi, e così la desiderata riforma pare ormai destinata al naufragio, o piuttosto ad una mesta deriva, insieme a tanti altri sogni mostruosamente proibiti della attuale maggioranza.

Tuttavia, nulla sembra essere più sbagliato che sottovalutare gli stimoli nascenti dalla consapevolezza dei propri privilegi, e così, fattosi convinto dell’impossibilità di far conto sugli amici degli amici, il buon Guido Alpa ha pensato bene di licenziare una mini riformetta firmata Consiglio Nazionale Forense, e pazienza se per farlo si è dovuto forzare un po’ la mano su quelle che siano le competenze dell’organismo da lui presieduto, che a quanto consta non ha tra le sue innumerevoli funzioni anche quelle regolamentari.

Comunque sia, detto fatto: a beneficio di chi davvero conta nella categoria, ecco creata la nuova figura dell’avvocato specialista, un titoletto suscettibile di certo di procurare le legittime maggiorazioni in parcella, la cui assegnazione sarebbe ovviamente in mano ai soliti noti nell’ordine, che infatti, nella fase transitoria, ca va sans dire, consentirebbero di fregiarsi del titolo, con procedura estremamente semplificata, agli iscritti ultraventennali.

Tutto bene dunque? La rivincita è arrivata, il Conte di Montecristo ha iniziato la sua vendetta, the empire strikes back? Forse stavolta non è detto, parrebbe che infatti i peones abbiano deciso di emanciparsi dal loro ruolo di lumpenproletariat designato, e si siano ricordati che per quanto peones sono pur sempre avvocati, così sta iniziando prepotentemente a circolare l’idea di promuovere un ricorso avverso il regolamento del Cnf.

Non si può negare che la prospettiva si presenti estremamente stimolante, nel suo proporre nella forma epica della disfida a ranghi ridotti tra Orazi e Curiazi, un serrato confronto tra principi del foro e parvenu: le scommesse sono aperte, le quote sbilanciate certo, ma le sorprese, si sa, son sempre dietro l’angolo e chissà che ancora una volta, pure in tempi di restaurazione, la storia non si incarichi di dare una sua ironica vendetta ai sine nobilitate.

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