Licenziato, reintegrato e nuovamente licenziato. È la storia di Mario Compagnino, dipendente del Banco di Napoli, gruppo Intesa Sanpaolo, sacrificato alla razionalizzazione dei costi dopo trentasei anni di lavoro. Pur in età pensionabile, Compagnino voleva tenersi il lavoro. L’azienda però lo ha licenziato comunque. Perché, si sa, costa meno assumere un giovane precario, affidando gli anziani alle cure dell’Inps. I vertici di Banca Intesa, però, non hanno fatto i conti con due giudici del lavoro. E così da agosto un’ordinanza cautelare chiede il suo immediato reintegro. Rispondendo alle telecamere de ilfattoquotidiano.it, l’ad di Intesa Sanpaolo Corrado Passera assicura: “Noi le sentenze le rispettiamo tutte”. Ma questa volta i fatti raccontano una storia diversa. Dopo i tre operai della Fiat di Melfi, un altro lavoratore attende che qualcuno faccia rispettare una sentenza già scritta. Nonostante gli utili in crescita, un gruppo da centomila dipendenti sceglie la prova di forza.

In seguito alla fusione di Banca Intesa e Sanpaolo Imi del 2006, il neonato gruppo Intesa Sanpaolo sigla un accordo sindacale per alcune migliaia di esuberi. Un taglio da 425 milioni da realizzare entro la fine del 2009. Ma il traguardo arriva già nei primi mesi del 2008. Le richieste volontarie dei dipendenti pronti a lasciare il posto risulteranno più che sufficienti, superando di un migliaio quelle necessarie. Per l’azienda un ottimo risultato da sommare agli oltre sette miliardi di utile netto registrati a fine 2007 e distribuiti in gran parte agli azionisti. Insomma, nulla che lasciasse presagire futuri licenziamenti.

Eppure, il 9 aprile del 2008 il gruppo decide di rifare i conti. Considerata l’eccedenza di lavoratori intenzionati a lasciare il lavoro, ai sindacati viene chiesto di riconoscere ulteriori esuberi. Ma nel settore del credito il costo di un lavoratore in età avanzata supera sensibilmente quello dei colleghi giovani, e Intesa Sanpaolo pretenderà che i nuovi tagli comprendano tutti i lavoratori pensionabili ancora presenti in azienda. Tradotto: i vecchi se ne devono andare.

L’8 luglio 2008 le organizzazioni sindacali cedono, firmando un accordo che mette di fatto alla porta tutti i colleghi anziani. L’unico sindacato contrario è la Falcri (Federazione Autonoma Lavoratori del Credito). “In quel periodo”, spiega Maria Comotti, segretario responsabile della Falcri in Intesa Sanpaolo, “tutte le sigle sindacali del settore denunciavano la cronica carenza del personale e gli incentivi del governo miravano a posticipare i pensionamenti. L’accordo era in palese controtendenza”.

Ancora una volta l’obiettivo è raggiunto e superato: 2851 esuberi a fronte dei 2500 richiesti. Di cui ben 807 pensionabili con risoluzione consensuale. Ma inaspettatamente il gruppo licenzia in modo coatto anche gli ultimi 72 dipendenti che il lavoro volevano tenerselo. Hanno tutti maturato i requisiti per la pensione. “L’operazione del gruppo Intesa Sanpaolo”, sostiene ancora Maria Comotti, “ha tagliato i costi del personale utilizzando in modo discriminatorio il criterio di anzianità”.

Il Banco di Napoli, che nel primo semestre 2008 vanta trentacinquemila nuovi clienti, è parte del gruppo bancario Intesa Sanpaolo. In seguito al nuovo accordo il Banco di Napoli comunica il licenziamento a 23 dipendenti. Le lettere arrivano a fine settembre 2008. Tra le altre, c’è quella del dottor Mario Compagnino della filiale di Cosenza.

Alle dipendenze dell’istituto di credito dal 1972, Compagnino non ci sta a farsi cacciare: “Se gli esuberi volontari erano più che sufficienti”, si domanda, “perché accanirsi su qualche decina di dipendenti vicini alla pensione?”. E decide di impugnare il licenziamento di fronte al Giudice del lavoro presso il Tribunale di Napoli: “Questo licenziamento collettivo”, sostiene la difesa di Compagnino, “è in palese contrasto con la Direttiva comunitaria, che vieta qualunque discriminazione in ragione dell’età”. E rilancia: “L’operazione è stata il mero pretesto per conseguire uno svecchiamento della forza lavoro”. Il magistrato, però, non valuterà la natura discriminatoria del licenziamento. E questo solo perché la decisione di Intesa Sanpaolo viene immediatamente giudicata inefficace per un vizio di forma. Il 18 maggio del 2010 viene ordinato il reintegro immediato del dipendente.

Le sorprese, però, non sono finite. Il 30 giugno scorso Mario Compagnino si presenta in ufficio. Appena arrivato gli consegnano una nuova lettera di licenziamento. “Questa proprio non me l’aspettavo”, afferma lo stesso Compagnino. Che, poi, racconta: “Per la rabbia sono finito addirittura al pronto soccorso”. Lo stress persiste, sommandosi al disagio di un esilio che dura da due anni. Per limitare le conseguenze, i suoi legali decidono per un ricorso cautelare. Il 25 agosto scorso il tribunale di Cosenza ribadisce l’efficacia della prima sentenza, riconoscendo il rischio di danno alla salute e alla professionalità. Tra i legali che rappresentano Mario Compagnino c’è anche suo figlio Massimo, avvocato giuslavorista a Milano. “Mio padre vuole solo rientrare al lavoro” spiega, “e la Magistratura gli ha riconosciuto per due volte questo diritto”. E denuncia: “È gravissimo che uno dei principali gruppi del credito non rispetti le sentenze”. Compagnino va reintegrato, immediatamente. Ma invece dell’invito a riprendere servizio, da Intesa Sanpaolo arriva una precisazione: “Al fine di ottemperare pienamente alle ordinanze di reintegrazione dei giudici, attribuendo ai lavoratori coinvolti mansioni congrue, si rendono necessarie analisi e valutazioni di ordine organizzativo che richiedono sempre tempi adeguati”.

La soluzione, insomma, è già scritta, e anche Corrado Passera la conosce. Ospite ieri all’Università Bocconi del convegno ‘Regole, perché tutti devono rispettarle per rilanciare l’economia’, il capo di Intesa Sanpaolo ha suggerito a tutti di leggere la Costituzione almeno una volta all’anno. “Non c’è capitalismo né mercato”, ha detto “se le regole non vengono rispettate”. Come dargli torto?

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