Si scrive tanto di musica ma si tralasciano alcuni aspetti fondamentali, aspetti che sono invece argomenti di appassionata discussione tra i musicisti il cui lavoro è incentrato sul vasto spettro della musica contemporanea.
Quello che segue è un’eco, fatta di focus ‘altri’ sulla musica prodotta in questo Paese.

Oggi pubblichiamo la lettera di Stefano Giust, un musicista attivo da quasi 30 anni e produttore indipendente dal 1993 che coordina un network di musicisti d’avanguardia (Setola Di Maiale-musiche non convenzionali) che non persegue profitto ma ricerca qualità.

La riflessione scaturisce dal fatto che la musica in Italia avrebbe bisogno di un grandissimo aiuto. Non si intende la musica cosiddetta commerciale che per definizione ha a che fare con il commercio, quindi con i soldi e di conseguenza gode di visibilità enorme (comunque, anche in questi ambienti accadono cose tremende; anomalie come X-Factor danno ceffoni sonanti agli artisti veri, quelli cioè che hanno vocazione sincera per la musica e non per il successo televisivo, ossia quelli che hanno lavorato duramente sui propri linguaggi artistici a dispetto delle avversità del mercato e della critica dominante).

Tutti sanno o credono di sapere cosa sia l’Indie Rock, il Punk, la World Music, il Jazz, la Techno, la Musica Classica, invece pochi sanno cosa si intende con ‘musica improvvisata non idiomatica’, solo per fare un esempio.
Sono quindi altre le musiche che andrebbero discusse e diffuse, ovvero tutte quelle sonorità contemporanee che non hanno visibilità perché ritenute difficili o incomprensibili e di conseguenza vengono messe al bando.
Guardandoci bene dal dire che non si dovrebbe scrivere di musica commerciale, sarebbe infatti una stupidaggine integralista, sarebbe importante e opportuno scrivere e promuovere anche altro, altre prospettive che non siano le solite date, perché altrimenti ci troveremmo in un sistema totalitario. E infatti lo è.

Qualcuno cerca di far passare l’idea che se al pubblico non interessano queste cose ‘elitarie‘ è bene che si estinguano. Allora buttiamo a mare una montagna di grandi scrittori poco letti, pittori poco visti, poeti, cineasti e musicisti che non hanno mai beneficiato di un grande seguito di massa, ma che hanno contribuito ad allargare la coscienza dell’Uomo, niente di meno!

Siamo tutti d’accordo quando si afferma che la Musica è Arte, pensiero libero, ricerca di nuovi linguaggi: ma sono solo belle parole, perché nel nostro Paese è un’equazione di scarso valore! Questo non soltanto per i problemi generati dal disinteresse delle Istituzioni che non promuovono i talenti di casa nostra – né in Italia né all’estero, tramite sovvenzioni per i concerti fuori confine o partecipazioni per la realizzazione di dischi, come invece accade in altri Paesi a cominciare dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dall’Olanda, dalla Svizzera, dal Canada e così via (un musicista italiano è estremamente svantaggiato rispetto a un tedesco o uno svedese, questo viene sempre omesso) – ma anche per le responsabilità della stampa musicale.
La stessa percezione all’estero dei musicisti italiani è alquanto opaca, salvo rarissime eccezioni.

Cosa sta succedendo? È semplice: accade la stessa cosa che avviene per la politica e la sua (dis)informazione: clientelismo, poca professionalità e competenza, esterofilia che alimenta ‘gli altri’, giornalisti musicali mummificati e miopi che nemmeno si scomodano ad andare ai concerti, profondamente immersi nelle loro opinioni del tutto soggettive, che in quanto tali, esprimono solo il proprio autocompiacimento, dimenticando un valore fondamentale che chi scrive di musica dovrebbe sempre aver ben chiaro in mente: obiettività, ricercare la verità, essere informati e informare su quello che accade di stimolante e di nuovo, arricchire il lettore e non mentirgli; questi sono doveri di un giornalista. Invece niente, non un rigo che esca dal seminato.
Chi scrive di musica cerca il consenso, non l’arduo lavoro della promozione, della ricerca, della discussione. Il salottino vespiano non è poi così diverso da certi ambienti della musica. È amaro constatare che non c’è la volontà di far crescere culturalmente gli individui.

In Italia sono tantissimi i musicisti attivi di grande talento che si organizzano tour, che si danno da fare per far nascere etichette indipendenti e spazi inevitabilmente piccoli per concerti di ‘musiche altre’, scontrandosi con tanta indifferenza e ignoranza del pubblico che le Istituzioni e i giornalisti hanno generato negli anni.
Tutto questo ha generato un impoverimento culturale deprimente, che traspare da ogni cosa, anche dalle più ridicole o insignificanti: capita a tutti di sentire per strada le canzoni del momento, i cosiddetti ‘tormentoni’… Molti di questi sono vecchie canzoni anni ’80, si ascoltano ovunque, nei bar, nei supermercati… E poi si organizzano concerti di vecchi gruppi che se ne tornano fuori, ben pagati per suonare il loro vecchio repertorio…
Va bene, ci mancherebbe… ma la musica di Oggi?! Dove sono i musicisti di oggi?! Chi è che fa muovere queste cose?

Le ragioni e i disagi economici dei musicisti vengono regolarmente ignorati, così come vengono ignorate le proteste dei cittadini nelle piazze, ma qui non si tratta di avere ragione o torto: si tratta solo di esser trattati con dignità, di avere un pochino di voce, di visibilità. Nessuno vuol togliere niente a nessuno, in fondo è solo una questione di pluralità. Una rivendicazione.

Non si dovrebbe permettere che la ricerca e l’avanzamento della cultura musicale sia destinata all’estinzione, in luogo della quale c’è solo la canzonetta che poggia su idee musicali del tardo ‘800 quando va bene.
Se da una parte i segni del deterioramento musicale si trovano un po’ ovunque nel mainstream, dall’altra una schiera di musicisti geniali e ben al di fuori dei canali ufficiali, sta a dimostrare una vitalità estrema della musica d’oggi (altro che estinzione!). Questo riferendoci al presente, ma se guardiamo indietro, le cose non erano diverse. Il ‘900 musicale con la sua musica atonale, la dodecafonia, il serialismo integrale, la musica stocastica, l’accettazione del rumore e del gesto performativo, il minimalismo, l’inclusione in partitura di riferimenti extramusicali, l’incredibile parabola del jazz afroamericano ed europeo, insomma, tutte queste novità, non avevano ieri e non hanno oggi, spazi adeguati nei palinsesti musicali. Così, una quantità strabiliante di innovazioni, di risorse creative, di tecniche strumentali, trovano addirittura derisione, perché purtroppo non le si raccontano nel dovuto modo, non si insegna a capire, non si insegna l’immaginazione.
I commenti ad un articolo su un lavoro di John Cage apparso in questo blog ne sono una piccola dimostrazione.

Volendolo vedere, tutte le avanguardie misurano l’arretratezza della condizione Umana.

Ascoltare un disco che ha da dire qualcosa, leggere un libro degno di questo nome, vedere un film d’autore, non son banali intrattenimenti, servono a crescere come individui dopo una giornata di lavoro in fabbrica o negli uffici o per le strade… Sono solo altre opportunità per sposare mondi più alti, dove la coscienza e lo spirito si rinfrescano, respirano, si ungono con i balsami dell’Arte per le ferite del giorno e della vita…

A che servono altrimenti gli artisti? Tante cose che ci vengono date per cultura creano solo noia, apatia intellettuale, vedute ristrette e viziate.

Tempo fa un tale dichiarò la sua fierezza per non conoscere nulla di Arte e Musica Contemporanea: se fosse stato detto da qualcuno al ‘bar sport’ pazienza, ciascuno ha i suoi interessi, ma quando a dirlo è un ministro per le Attività culturali è davvero grave, da indignarsi!
Coloro che hanno il controllo della Cultura italiana – artisti, promotori, intellettuali, giornalisti, editori, etc. – hanno il compito morale di rimboccarsi le maniche e di darsi da fare, ma sul serio, perché il disinteresse della stampa e delle Istituzioni sono insieme i primi grandi responsabili di un crimine che viene commesso nei confronti della società e dei suoi sogni.

Alle persone si nasconde la conoscenza, si nascondono le alternative, o peggio ancora si descrivono con un qualunquismo spietato. Il risultato di tutto questo lo si vede tutti i giorni: una grossolanità e un abbrutimento collettivo, che investe tanto la cultura che ci viene proposta quanto il suo pubblico. È il declino.

Chi guadagna qualcosa da tutto questo? La Cultura, quella vera, quella profondamente immersa nei moti dell’anima e dell’ingegno, non ha mai cessato di essere pericolosa per chi persegue una strada di ingiustizie! Ecco il silenzio da dove arriva.

E voi lettori, siete d’accordo con quest’analisi? Come la pensate? Quali sono le vostre proposte? Scrivetemi all’indirizzo email: prinaldis@gmail.com o sulla pagina Fanpage di Facebook dove potete proporre i vostri lavori, la vostra musica. Sempre Vive le Rock!

Articolo Precedente

L’ultimo pensiero a Solomon Burke

next
Articolo Successivo

“Quella sera dorata” ma così poco magica

next