Addio alla “class action europea”. Viviane Reding, commissaria Ue Giustizia e Libertà civile, ha annunciato che la class action non è più tra le priorità dell’agenda politica Ue, notizia che ha causato un terremoto nel mondo dei consumatori. Una dichiarazione inaspettata soprattutto perché arriva alla vigilia delle consultazioni con le parti in causa (rappresentanti delle industrie e associazioni dei consumatori) da parte dell’Unione europea.

La class action, o azione legale collettiva risarcitoria, è considerata l’incubo delle multinazionali. Offre a un singolo consumatore vittima di pratiche commerciali scorrette (ad esempio crack finanziari, irregolarità nei contratti telefonici, disservizi nei trasporti e problemi con pacchetti turistici) la possibilità di chiedere l’avvio di una procedura legale di risarcimento per lui e per tutti coloro che si trovano nelle stesse condizioni. Una normativa rivoluzionaria, in grado di mettere singoli cittadini e grandi multinazionali sullo stesso piano davanti a un giudice. Nel caso dei crack Cirio e Parmalat, la class action intentata da una sola persona avrebbe permesso alle migliaia di risparmiatori truffati di ottenere in modo compatto i legittimi risarcimenti, contrariamente alle attuali briciole elargite sentenza dopo sentenza.

Un argomento sul quale l’Ue stava lavorando da oltre 15 anni e che adesso è finito nel cestino delle priorità della Commissione europea. E questo perché? Secondo la Reding, con l’attuale crisi economica l’introduzione di una class action europea potrebbe provocare “un rischioso calo degli investimenti”. Insomma, per non spaventare i capitani di impresa è meglio limitare i diritti dei consumatori. La Reding ha aggiunto che la sua decisione è frutto anche di “lunghe consultazioni con i rappresentanti del mondo industriale statunitense” che l’hanno messa in guardia sugli impatti di una simile legislazione sull’economia europea.

Si, perché negli Stati Uniti la class action esiste già dal 1965, da quando l’avvocato Ralph Nader vinse la causa di diffamazione intentatagli dalla General Motors (il colosso automobilistico statunitense)  per le sue accuse sull’insicurezza della Chevrolet Corvait. Da quella vittoria nacque la cintura di sicurezza, i paraurti rinforzati e altri test obbligatori per le industrie automobilistiche. Negli Usa la class action è diventata lo spauracchio delle multinazionali anche per il “punitive damage”, l’indennità punitiva che le aziende devono pagare in aggiunta ai risarcimenti. Storica la class action del 2001 contro Ford e Firestone, condannate a pagare 10 miliardi di dollari per i pneumatici difettosi del fuoristrada Explorer. E poi le cause intentate e vinte dai fumatori malati di cancro nei confronti di Philip Morris e Reynolds, costrette a pagare cure e danni morali con cifre a nove zeri.

La Beuc (The European Consumers’ Organisation) condanna l’intromissione dell’industria statunitense e sottolinea le differenze tra la class action americana e il modello europeo, che “evita gli eccessi presenti nella legislazione Usa”. Monique Goyens, direttore generale Beuc, ha mandato una lettera di protesta alla Reding e al presidente della Commissione Barroso, ricordando che “la stessa Commissione ha stimato che in Europa i danni ai consumatori dovuti a pratiche commerciali scorrette vanno dai 25 ai 69 miliardi di euro l’anno”.

La class action europea doveva fare tesoro dell’esperienza positiva di alcuni Stati membri che prevedono già nei loro ordinamenti l’azione collettiva di risarcimento. In Spagna dal 2000 la class action è stata usata ben 50 volte soprattutto per danni finanziari. Nel 2007 ben 323,337 cittadini sono stati risarciti per il black out di Barcellona causato dall’incendio di tre trasformatori elettrici che ha visto centinaia di persone intrappolate in ascensori e nella metropolitana. Altre tipologie di class action si trovano in Portogallo, Svezia, Danimarca, Finlandia, Grecia, Lituania, Norvegia, Polonia Germania e Regno Unito.

In Italia l’azione collettiva risarcitoria è stata introdotta alla fine del 2007 dal Governo Prodi, ma la sua entrata in vigore è stata più volte rinviata. Lorenzo Miozzi, presidente del Movimento Consumatori ha denunciato a più riprese “le continue modifiche che ne annacquano la sostanza”. Infatti, la “class action all’italiana” non può essere retroattiva e le associazioni dei consumatori non hanno la possibilità di essere promotori delle azioni, ma solo di ricevere il mandato dai danneggiati. È quindi esclusa la possibilità di ottenere un risarcimento del danno per il crack Cirio, Parmalat, e Lehman Brothers.

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