È successo ancora. Sbagliati tutti i pronostici, tutte le valutazioni degli stati maggiori della politica. Senza mezzi, senza soldi e senza apparati, ancora una volta il Popolo viola ha riempito le piazze.

Una preoccupante adunata di facinorosi: inalberavano slogan sovversivi come “chi semina cultura raccoglie democrazia”, cartelloni di dubbio gusto, come quello con la banconota da 500 euro e una scritta sotto: “Questo è il mio stipendio”.   Gli organizzatori erano ancora peggio, visto che esibivano magliette viola con una scritta gialla: “Noi partigiani, voi cortigiani”. Forse sarà il caso che la politica questa volta si faccia davvero delle domande. Ad esempio chiedersi come mai un pugno di ragazzi, tra i 18 e i 35 anni, armati solo di chiavette Internet, abbia un potenziale di mobilitazione superiore a quello di tutto il centrosinistra. E forse sarà il caso di finirla con gli stereotipi, le caricature, questo continuo raffigurare quei ragazzi come dei sovversivi privi di idee e abituati a maneggiare solo slogan massimalisti. Se c’era una cosa che colpiva, ieri, attraversando quella folla, era il senso di compostezza e la serenità festosa di chi è andato in piazza San Giovanni. Studenti e professori, precari di ogni segno e colore, ultralaureati   che friggono patatine al McDonald’s e intanto preparano il master sapendo di andare incontro a una commissione truccata.

Li dipingono come una pattuglia di tifosi scalmanati, sono gente con la testa sulle spalle, che legge e si informa su Internet e sui giornali, che fa parte di quella minoranza illuminata che ancora divora libri. C’è un punto molto importante, che ancora va raccontato, se si prova a dipingere questa piazza: il Popolo viola è uno dei movimenti organizzati nella lunga storia dell’opposizione in Italia che non conosce in nessun modo l’estremismo della violenza verbale e fisica, che bandisce i servizi d’ordine, che si autorappresenta senza mediazioni e senza ricorrere alle agenzie di caporalato del consenso politico. Il momento di massima emozione, ieri, lo   slogan più gridato, quando ha parlato Salvatore Borsellino, era: “Fuori la mafia dallo Stato”. Se i partiti del centrosinistra, prima di rimboccarsi le maniche, pensassero che possono imparare qualcosa anche da questi ragazzi, forse Berlusconi avrebbe qualche difficoltà in più a prolungare il suo crepuscolo politico e mediatico.

da Il Fatto Quotidiano del 3 ottobre 2010

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