Ai tanti (per lo più anonimi) che su questo blog mi hanno tirato (metaforicamente) i lacrimogeni per quello che ho scritto sui trascorsi di Toni Negri consiglio la lettura di due libri appena usciti: Terrore rosso. Dall’autonomia al partito armato di Pietro Calogero, Carlo Fumian e Michele Sartori (Laterza) e Il libro degli anni di piombo. Storia e memoria del terrorismo italiano, a cura di Marc Lazar e Marie-Anne Matard-Bonucci (Rizzoli). Dal primo si evince che la costellazione dell’estrema sinistra, da Potere Operaio all’Autonomia, e le nascenti Brigate Rosse erano legati, al di là delle divisioni tattiche, da un comune disegno insurrezionale, come due gambe di una stessa strategia di eversione violenta, con una continua osmosi di militanti da una all’altra organizzazione. E che il famoso “teorema Calogero” era una ricostruzione esatta della realtà di quegli anni, e delle responsabilità che i Capi di “PotOp”, a cominciare da Toni Negri, ebbero in quanto registi e mandanti delle azioni criminose compiute dai collettivi e dai gruppi armati. Il professore padovano è stato condannato a una pena complessiva superiore ai 16 anni di reclusione per associazione sovversiva e banda armata, ma anche per reati specifici, tra cui concorso in rapina, incendio e omicidio, con tre sentenze passate in giudicato. Pena scontata solo in minima parte, perché Negri fuggì a Parigi dove si stabilì felicemente per quattordici anni, stipendiato e riverito come docente universitario.

A questo proposito, si è tirata spesso in ballo la famosa “Dottrina Mitterrand”: il presidente francese avrebbe cioè suggerito alle sue autorità giudiziarie di negare l’estradizione a persone condannate per “atti di natura violenta ma d’ispirazione politica, diretti contro qualunque Stato, purché non fosse lo Stato francese e purché i loro autori avessero rinunciato a ogni forma di violenza politica. Il libro di Lazar e Matar-Bonucci, sulla base di documentazioni rigorose, chiarisce invece che bisognerebbe piuttosto parlare di “Dottrina Craxi”. Fu infatti il leader socialista, presidente del consiglio dall’83 all’87, a dissuadere l’amico Mitterrand dal concedere l’estradizione per Negri, Scalzone e compagnia. Non voleva che i latitanti degli anni di piombo fossero processati in Italia, per fare un dispetto al Pci e a quella parte della Dc che avevano sostenuto la linea della fermezza contro le Br. Ecco chi era il protettore occulto del compagno Negri: proprio lui, il futuro esule di Hammamet, l’uomo forse più odiato dagli attuali fan del Negri-pensiero.

Le reazioni a volte forsennate al mio blog dimostrano due cose: 1) che molti tra i nati negli anni Ottanta sanno poco (e non per colpa loro) di quanto è successo in Italia negli anni Settanta, e tendono perciò a sottovalutare i lutti e gli orrori di quello sciagurato periodo, nonché le responsabilità di chi ha teorizzato, fomentato e diretto la violenza. 2) Che in una parte della sinistra italiana stenta a farsi strada un concetto davvero universale di giustizia e di legalità. Per cui il processo 7 aprile è frutto di un “teorema” inquisitorio di Calogero (anzi Kalogero, come scrivevano sui muri gli imbecilli), mentre i giudici che inchiodano Dell’Utri sono inattaccabili. Finché non si rispetterà il ruolo della magistratura anche quando condanna un compagno o ex-compagno “che ha sbagliato”, finché di fronte ai soprusi della cricca e ai delitti della mafia ci sarà qualcuno che giustifica retroattivamente, o peggio prova nostalgia per il partito armato, la lotta per la legalità e lo stato di diritto resterà zoppa e la sinistra continuerà a collezionare disfatte.

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