Ministro Maroni,

scrivo a Lei, che questa sera sarà a Milano, con Calderoli e Bossi, alla Festa della Libertà. Avrei preferito trattare di argomenti più interessanti e positivi, ad esempio dell’entusiasmo del popolo di Woodstock, quelle decine di migliaia con la voglia (vera) di cambiare che manca da tempo nella dirigenza di questo Paese. Devo invece scriverLe di altro: di ciò che ieri è successo a me, Francesco e Ilenia al Castello Sforzesco, Festa della Libertà (se permette, con una punta di ironia).

Racconto. Ieri eravamo al Castello, per intervistare militanti e attivisti del PdL: alcuni disponibili, altri un po’ più restii a mostrarsi alla telecamera; per più di un’ora abbiamo pacificamente intervistato persone semplici del Popolo della Libertà. Gli occhi della Digos ci erano addosso fin da quando eravamo entrati, ma non ci facevamo troppo caso: eravamo certi di agire secondo la legge, in un luogo pubblico. Nel frattempo, in una sala (aperta al pubblico) del Castello, Frattini e Santanché partecipavano ad un dibattito. Il cortile del Castello, già poco gremito, si era svuotato del tutto. È allora che ci siamo decisi ad entrare al dibattito, per provare ad intervistare altri militanti tra il pubblico. Intorno a noi, durante l’ultima intervista in esterno, quindici agenti della Digos. Ci dirigiamo verso una delle entrate: “Non si può” ci risponde un funzionario della Digos. Ci indicano l’altra entrata, davanti alla quale, in meno di un minuto, si schierano venti poliziotti in divisa e in borghese. “Dove state andando?” “Al dibattito” Non si può entrare, è pieno, ci dicono. In realtà la gente all’interno è in piedi e c’è ancora qualcuno che entra. Poi, arriva la vera motivazione: “Lucianò (il cognome di Francesco) non può entrare” . È un disturbatore, afferma il funzionario della Digos che con supponenza si gira e se ne va, mentre il responsabile del servizio si rifiuta, nonostante le nostre richieste, di identificarlo.

Dopo qualche minuto, decidiamo di andarcene per l’uscita dalla quale siamo entrati, ma non ci è consentito: “Uscite dall’altra parte”. Un ragazzo in bici si ferma incuriosito, dialoga un po’ con noi, stupito ma non troppo per il trattamento che stiamo ricevendo.

Nonostante l’articolo 16 della Costituzione ci garantisca la circolazione e il soggiorno in qualsiasi parte del territorio nazionale e affermi che nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche, arriva un ordine telefonico e ci viene proibito di rimanere nel cortile del Castello Sforzesco (che fino a prova contraria è luogo pubblico).

Reparto, accompagniamo i signori all’uscita”. Gli agenti formano un cordone che avanza e spinge i tre “sovversivi” verso piazza Cairoli, dove avviene l’identificazione di rito. Tocca pure al ragazzo in bici essere identificato e l’impressione, come al solito, è quella che il controllo dei documenti sia un’intimidazione piuttosto che un’azione di controllo.

Ecco, Le chiedo, ministro, se in un Paese democratico, come spero sia l’Italia, sia normale che dei cittadini disarmati e pacifici vengano allontanati in maniera coatta per avere idee diverse dalla maggior parte delle persone presenti in quel cortile. Mi chiedo e Le chiedo per quale motivo l’articolo 27 della Costituzione valga solo per Dell’Utri e Cosentino e non per dei cittadini allontanati con un processo alle intenzioni degno di Minority report. Se sia opportuno lo spiegamento consistente di forze dell’ordine per una manifestazione partitica protratta per più giorni a Milano (dovrebbe bastare già il servizio d’ordine del Pdl), sottraendole ad altri compiti ben più importanti. E, ancora, se sia lecito che alcuni di questi tutori dell’ordine possano (o debbano) agire, dovendo interpretare le Sue direttive o quelle del Suo governo, in deroga ai principi sanciti dalla Costituzione, abusando del loro ruolo come possono documentare le immagini.

Signor ministro, io stimo le forze dell’ordine, perché so che tra di loro si annoverano agenti onesti e coraggiosi, che tra loro bisogna ricordare grandi uomini e donne, a partire da Carlo Alberto dalla Chiesa, fino ad arrivare a Roberto Antiochia ed Emanuela Loi, a cui darei il merito, più che al suo Ministero (e a quello dei suoi predecessori), di lottare contro la mafia. E anche per il rispetto che ho di questi grandi carabinieri e poliziotti non posso fare a meno di indignarmi.

I membri delle forze dell’ordine sono prima di tutto servitori dello Stato. E fa male ai cittadini vedere come, quando un politico è in giro, molto spesso, per ordini superiori o per servile vocazione, molti di loro diventino servitori dei potenti, più che dello Stato.

“Guarda i girasoli: si inchinano al sole, ma se vedi uno che è inchinato un po’ troppo significa che è morto. Tu stai servendo, però non sei un servo. Servire è l’arte suprema. Dio è il primo servitore; Lui serve gli uomini, ma non è servo degli uomini”. (La vita è bella, 1997)

P.S. Sono consapevole del fatto che questo episodio sia molto meno grave di quel che sta succedendo ad Acerra o di quel che successe al G8 di Genova, ma Lei (che diversamente da noi ha, sì, opposto resistenza, in maniera violenta, a quel che credeva fosse un abuso e per questo fu condannato) forse potrà comprendere che anche questa vicenda sia da ricordare come l’ennesimo sopruso. Perché smettere di stupirsi vuol dire abituarsi agli abusi e, quindi, giustificarli. Signor ministro, se quel che ho raccontato Le pare normale, accetterò il suo giudizio, ma in tal caso mi lasci affermare che la democrazia è tutta un’altra cosa.

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