Una decina di giorni fa è stato presentato un ricorso contro la modifica del disciplinare di produzione del vino Cirò. Da mesi alcuni produttori vinicoli locali, imprenditori ed enologi si battono contro tale modifica: approvata comunque ad agosto dal Comitato Vini, organo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Il nuovo disciplinare permette di fare vino Cirò non solo con varietà autoctone della Calabria, quale Gaglioppo e una piccola percentuale di Greco Bianco nel caso del Cirò rosso o rosato; ma anche con una percentuale di vitigni non autoctoni, addirittura internazionali e omologanti: eufemisticamente denominati vitigni complementari o migliorativi. I soliti Cabernet e Merlot per intenderci. O i soliti Chardonnay e Sauvignon nel caso del Cirò bianco.

È solito pure l’annichilamento dell’unicità e del patrimonio aromatico dei vini italiani. Difatti con l’entrata in vigore della nuova legge europea che regolamenta il settore vinicolo, nell’ambito d’una Organizzazione Comune del Mercato (la cosiddetta Ocm), per quasi due anni la Gazzetta Ufficiale ha riportato non poche modifiche di disciplinari, richieste di nuove Docg o di nuove Doc per intere produzioni regionali. Le richieste di modifica o di riconoscimento sono avvenute appena in tempo per avere l’approvazione d’un comitato nazionale, e non europeo.

Ma quale è la ragione per cui si sono modificati disciplinari di produzione dei vini italiani, ammettendo una percentuale (o aumentando la stessa) di vitigni abusati in tutto il mondo? Riporto una delle più esemplificative risposte che ho ricevuto in Toscana: “La scelta di aumentare la percentuale di altri vitigni non è stata assolutamente dettata dalla necessità di migliorare i vini della denominazione, ma dalla burocrazia imposta dalla nuova Ocm che richiederà, per le variazione disciplinari future, almeno 4 anni di tempo: è stata leggermente allargata la griglia per permettere alle aziende di oggi e di domani una possibilità che in realtà, al momento, non è affatto sentita come necessaria”.

Insomma si è voluto ampliare il concetto di “vino d’origine”. Per annichilarne finalmente la riconoscibilità, assimilarlo a un Igt e continuare ad abbassare i prezzi. Trovandosi a competere nel mercato globale con le produzioni di massa, coi paesi dove fare vino costa infinitamente meno. E dunque Chianti a 2 euro al supermercato… fino a svilire ogni denominazione di origine. Riecheggiano nella mente le parole di Gianfranco Soldera: “il mercato del vino è nelle mani dell’industria”.

Il caso del Cirò, che già si trova a 3 euro in un supermercato, è più curioso. Difatti la più nota azienda vinicola dell’area, ossia Librandi, che fa quasi il 50% dell’intera produzione di Cirò Doc, si è opposta alla modifica del disciplinare promossa dal Consorzio dei vini di Cirò e Melissa. Per quanto Librandi faccia anche vini diversi dal Cirò in uvaggio fra varietà autoctone e internazionali. Del resto l’azienda è fuori dal Consorzio, e da anni non ne condivide le scelte. Parimenti sono contrari al nuovo disciplinare anche la principale cooperativa cirotana, diverse associazioni vitivinicole e perfino i sindaci di Cirò, Cirò Marina, Melissa e Crucoli. È però ancora più curioso che la proposta di modifica del disciplinare sia stata approvata in una assemblea che si può definire fantastica. Fantastica in quanto non risulta mai avvenuta una votazione a non pochi partecipanti, tranne a quelli che hanno votato favorevolmente: i quali rappresentano il 22,73% della produzione potenziale delle uve atte a divenire Cirò. C’è un verbale di votazione del 26 di giugno 2009, nonostante decine di partecipanti affermino che tale assemblea si sia sciolta senza alcuna votazione. Inoltre, in una lettera al Sindaco di Cirò Marina, il Presidente del Consorzio Cianciaruso ha affermato che per la modifica al disciplinare sono pervenuti “ottimi consigli da illustri docenti universitari quali Fregoni, Scienza, etc.”. Il Professor Scienza e il professor Fregoni però hanno pubblicamente smentito. E quest’ultimo, fra i più grandi esperti di viticoltura al mondo, ha pure sottoscritto un appello contro la modifica del disciplinare. In altre occasioni, come riportato dal quotidiano locale il Crotonese, Cianciaruso ha sostenuto la necessità di cambiare il disciplinare per “legalizzare una situazione in corso da 40 anni”. Quindi si tratterebbe di una sanatoria di vini che non hanno per decenni rispettato il disciplinare di produzione? prima che intervenga la magistratura come in Toscana? Sicché riesce alquanto irrisorio il video promozionale che celebra l’identità del vino Cirò legato ai vitigni autoctoni, diffuso dallo stesso Consorzio dopo la proposta di modifica del disciplinare.

Nel video appare un noto enologo (noto per aver prodotto vini tecnici e anche apolidi) che parla di unicità del Cirò e del vitigno Gaglioppo, di caratteristiche precipue e ineguagliabili, che appartengono al popolo calabrese e non devono essere alterate o ammorbidite, quale il colore, che è tenue e povero come quello dei più grandi vitigni del mondo. Però, mesi prima, nella richiesta della famigerata modifica del disciplinare il Consorzio aveva allegato una perizia tecnica in cui si legge: “La necessità di utilizzare […] uve di vitigni diversi dal Gaglioppo deriva dall’esigenza di migliorare il colore del vino in modo da renderlo più accattivante per l’attuale consumatore”.

Non c’è nulla da aggiungere.

Ps: le ricerche nella storia del Consorzio di tutela, le telefonate con aziende e persone coinvolte nella vicenda, la documentazione inerente… spingono ad un’inchiesta.

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