È un Di Pietro decisamente di governo quello che chiude la tre giorni di Vasto. Un discorso compatto, deciso, incisivo. Ma senza dichiarazioni ad effetto. Parla all’insegna della responsabilità il leader dell’Italia dei valori. Gioca il ruolo del grande padre saggio, di chi – potendo contare su un partito in crescita, non travagliato da lotte intestine – prova a dettare un’agenda agli altri, si pone come un punto di riferimento, pronto anche a mediare pur di costruire un’ “alternativa”. Proprio questa la parola più ripetuta e gettonata durante la festa del partito. Come quell’altra, sulla quale Tonino ha messo l’accento anche nel discorso di apertura, “proposta”: “Siamo venuti qui per fare delle proposte”. E allora: è il momento di passare dalla protesta alla proposta. Di Pietro fa una scommessa. E parla all’elettorato deluso dal Pd e a quello potenziale di Futuro e Libertà, rivendendosi la coerenza dell’opposizione “senza se e senza ma” svolta in questa legislatura. Anche correndo il rischio di scoprire un fianco rispetto al movimentismo alla Grillo.

Si dice pronto a votare la mozione di sfiducia del Pd al governo, come quella di Fli contro Minzolini. Rilancia la proposta del Fatto sul ddl anticorruzione. Ribadisce la sua intenzione di “soprassedere” sulle elezioni anticipate, per fare una nuova legge elettorale, “uguale a quella che c’era prima o proporzionale sul modello tedesco”. Perché “dobbiamo togliere di mezzo il Porcellum”. E soprattutto, afferma la sua disponibilità a costruire un’ “alleanza democratica”, basata su un programma. Ne indica i “confini”: Pd, Federazione della Sinistra, Federazione dei Verdi, Sinistra e Libertà (non a caso, i protagonisti del dibattito finale sono stati Bindi, Ferrero, Bonelli, Fava). Chiarisce: “Noi vogliamo essere cofondatori di questa nuova forza, non ospiti”. E ancora, prova di disponibilità: “Siamo pronti sia a metterci la faccia se ci saranno i tempi per le primarie, sia a sederci attorno a un tavolo con la coalizione per scegliere un leader”. Dopo l’affondo di sabato (aveva definito il Pd partito in “decomposizione”), riabbassa i toni: “Riconosciamo ai Democratici il ruolo di maggior partito d’opposizione, con il compito di guidare l’alleanza, e rispettiamo il loro travaglio. Ma dobbiamo sapere a chi dobbiamo telefonare nel Pd. In questi giorni accade che non sappiamo a chi rivolgerci. E se il Congresso lo ha eletto, per noi il punto di riferimento è il suo segretario, Pier Luigi Bersani. Abbiamo il dovere di rivolgerci a chi è stato eletto dal Congresso”.

Poi, il messaggio mandato a Vendola e Grillo, che fanno parte di quello che Di Pietro definisce il fronte dell’intransigenza: “Caro Nichi, caro Grillo non cadiamo nell’errore di farci passare per avversari. Non dobbiamo spaccare il fronte dell’intransigenza. Dobbiamo stare uniti”. E il monito, allora, è tutto per Grillo e per la sua intenzione di presentare liste nazionali col Movimento 5 Stelle: “L’appello non è di cadere in questo tranello, ma di stare uniti. Il voto disperso è un voto perso”. E intanto coglie l’occasione per rivolgersi di nuovo al fronte della protesta, rilanciando il no B-day del 2 ottobre.

Il finale è tutto sull’orgoglio. L’orgoglio del padre: “Guardateci. Siamo arrivati dal Manzanarre al Reno, dalle Alpi alla Sicilia. Sono 5 anni che veniamo a Vasto. Siamo una bella famiglia, sana. Una forza politica. E se vi dicono che il vostro presidente strilla troppo rispondete, che è per passione e amore per questo Paese”. Poi, gli abbracci finali. Mentre la festa si scioglie sulle note dei Cento passi.

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