di Vincenzo Ammaliato

La differenza fra il “collaboratore di giustizia” e il “testimone di giustizia” è enorme ed è importante ricordarla, anche nella speranza che il legislatore vari una volta per tutte una riforma totale sulla materia. Il primo decide di iniziare a collaborare con la giustizia, per calcolo, dopo un percorso di vita criminale e l’arresto; il secondo, invece, è una persona con una vita normalissima che dopo aver assistito a un episodio criminale (spesso involontariamente) decide di aiutare la giustizia per spirito civico. Eppure, le cronache degli ultimi anni ci hanno quasi sempre consegnato esperienze di collaboratori di giustizia che dopo aver deciso di stare dalla parte dello Stato hanno visto la propria qualità di vita impennarsi; mentre quella dei testimoni di giustizia, dopo la scelta di fare la cosa giusta e normale, scendere fino agli abissi (e, purtroppo, a volte andare anche oltre).

La protagonista di questa storia si chiama Carmelina P. Il 13 agosto del 2003 si trovava in sella alla sua bicicletta ferma all’esterno del Roxi bar di Mondragone per organizzare la gita di ferragosto con le amiche.

La sua vita, fino a quel momento, era banalmente tranquilla: amici, lavoro, passeggiate sul lungomare, speranze e sogni, come ognuno di noi. D’un tratto l’oblio. No, non è stata lei la vittima del killer di camorra quella sera. A cadere sotto i colpi del sicario di turno è stato uno spacciatore di piccolo calibro impenitente, Giuseppe Mancone.

Carmelina, però, ha visto tutto, soprattutto il volto del killer, e ha deciso di raccontarlo ai carabinieri. Nelle prime ore successive all’agguato gli inquirenti, piuttosto che seguire le tracce dei sicari arrivati sul luogo del delitto a bordo di uno scooter e a volto scoperto, indagano sulla sua vita. “Conoscevi la vittima? Perché ci stai raccontando queste cose? Qual è il tuo scopo?”.

Contestualmente partono indagini anche sui componenti della sua famiglia, sulla cerchia di amicizie e le sue frequentazioni. Gli inquirenti non riescono a credere al fatto che non conoscesse la vittima dell’agguato, che non fosse legata al mondo della malavita locale, che i suoi amici e parenti fossero delle persone cosiddette “normali”. Eppure è così.

Carmelina è una testimone di giustizia involontaria, ma nelle terre di camorra le forze dell’ordine non sono abituate a incrociare personaggi del genere. Come possiamo chiamarla? Sfiducia preventiva.

Da un giorno all’altro si trova in una camera d’albergo con le finestre coperte da una lamiera, con due agenti di polizia davanti alla porta, senza la possibilità di telefonare per avvertire i familiari. L’isolamento totale dura solo un mese. Ma per tre anni e mezzo, l’intera durata del processo, cambia cinque volte Regione e un’infinità di volte alloggio. Le sbarre alle finestre sono andate via, ma in questo periodo non può frequentare nessuno, le telefonate le sono contingentate, il lavoro una chimera. La sorella di dieci anni più piccola ha deciso di seguirla nel programma di protezione. Lo Stato garantisce loro oltre all’alloggio, cinquecento euro al mese. Questa somma deve servire ad entrambe per sostenersi un mese intero. E se non ce la fanno perché c’è un imprevisto di salute e devono acquistare dei medicinali da banco? “Signore, rivolgetevi alla Caritas” è la risposta di un dirigente dello Stato che segue il loro percorso e la loro sicurezza.

Completa il percorso di testimone di giustizia con la condanna del killer del Roxi Bar e torna al suo paese d’origine. “Qui non avrà più protezione, le fa sapere lo Stato”. Ma se per “protezione” si intende i tre anni e mezzo d’inferno che ha patito insieme alla sorella, è ben lieta di non averla più.

Carmelina non si aspetta la fanfara per il suo rientro a Mondragone, spera semplicemente di poter tornare alla sua vita di prima, alla sua vita normale. E invece, dopo lo Stato è la famelica “società civile” ad accanirsi contro di lei.

Nel suo paese è isolata così come lo era nelle stanze d’albergo che ha cambiato negli ultimi anni; gli amici di un tempo sono spariti, non ha trovato più il vecchio lavoro, la bicicletta è arrugginita e non ha voglia di comprarne una nuova. Sempre più spesso sente ripetersi una domanda che inizia a suonare nella sua testa come una melodia martellante: “Chi te lo ha fatto fare, chi cazzo te lo ha fatto fare?!”

Carmelina poteva essere un esempio per quella parte di Stato che vuole vincere la contro la mafie. Avrebbe dovuto essere sostenuta, invece è sola.

La camorra è stata più efficiente. Ha Sentenziato la morte dello spacciatore impenitente con esecuzione l’immediata. Chi ha sparato è stato condannato all’ergastolo, fine pena mai; ma anche Carmelina è condannata per la vita.

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