Addio Chabrol. Grande maestro della Nouvelle Vague con Truffaut e Godard, se ne è andato a 80 anni. “Un immenso cineasta francese, libero, impertinente, politico e prolisso”, ha commentato Christophe Girard, responsabile per la cultura al Comune di Parigi.

Figlio di un farmacista e musicologo, eroe della resistenza, nasce a Parigi (24 giugno 1930) e cresce nella Creuse, nel piccolo villaggio di Sardent, da cui proviene la madre. A 12 anni, quando era già un appassionato cinefilo, lì fonderà il primo cineclub del paese e sceglierà di ambientarvi il suo film d’esordio. Laureatosi in Lettere a Parigi, inizia a collaborare con le riviste specializzate in cinema Arts e Cahiers du cinéma di cui è un membro moderato, lontano delle polemiche. Nel 1957, insieme ad Eric Rohmer, pubblica il primo libro francese su Hitchcock, regista che insieme a Renoir e Lang rimarrà sempre tra i suoi preferiti (del resto è appassionato di romanzi polizieschi). Quello stesso anno, decide di improvvisarsi produttore per Le coup du berger sceneggiato insieme al regista Jacques Rivette e ispirato all’italiano Accadde al commissariato di Giorgio Simonelli. Produce anche il primo lungometraggio di Godard e il suo primo film da regista che, nel 1958, inaugura di fatto la Nouvelle Vague, Le beau Serge, Pardo d’argento al festival di Locarno per la miglior regia. La sua indipendenza critica e la sua autoironia lo mantengono al di sopra delle mode e la sua è una voce che rimane sempre fuori dal coro. Da allora ha diretto oltre cinquanta film fra i quali si ricordano I cugini (1959, Orso d’oro al festival di Berlino), Donne facili (Les Bonnes femmes, 1960, il suo preferito), Un affare di donne (Une affaire de femmes, 1988), Madame Bovary (1991), Il buio nella mente (La Cérémonie, 1995).

A partire dal 1978 con Violette Nozière, Chabrol ha formato un sodalizio artistico con Isabelle Huppert che nei decenni ha dato vita a una serie di volti angelici nel compiere efferatezze, spesso fornite dalla cronaca, ma sempre reinventate dal regista in maniera credibile e coinvolgente. Il suo ultimo film, Bellamy, con Gerard Depardieu, era stato presentato al Festival di Berlino nel 2009.
“Chabrol – ha ricordato il direttore della Mostra di Venezia Marco Muller – era un cineasta geniale e insolente e la sua insolenza era quella di tirare sempre fuori una verità del cinema che ha difeso fino all’ultimo con i suoi film e guardando e analizzando i film degli altri”.

Tra gli ultimi suoi titoli, ci manca soprattutto La commedia del potere, che nel 2006 lo fece rincontrare per l’ennesima volta con la Huppert, nei panni del pubblico ministero Jeanne Charmant Killmann, incaricata delle indagini su un complesso caso di concussione e appropriazione indebita. Verrà coinvolto un importante gruppo industriale e l’establishment politico-economico francese, ma Jeanne si ritroverà sola contro tutti, anche contro se stessa, e dovrà confrontarsi con l’ebbrezza del potere (L’ivresse du puvoir, il titolo originale) e il conseguente delirio – meccanico, compassato – di onnipotenza. Claude Chabrol ritornava a fare Claude Chabrol, inquadrando il consueto milieu alto-borghese e stigmatizzando le leggi che ne governano dinamiche e gerarchie più o meno recondite. Sguardo lucido e camera crudele, risolveva il tutto in un pessimismo trito: così va il mondo. Purtroppo.

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