Il 19 luglio 2010 sono state depositate in Cassazione oltre 1 milione e quattrocentomila firme per dire No alla privatizzazione del servizio idrico e chiedere tre referendum per abrogare la mercificazione di un bene comune quale è l’acqua, decretata dalla maggioranza di centrodestra.

In quei 600 scatoloni, consegnati con una bella manifestazione di popolo, c’era il lavoro di migliaia di persone, impegnate in banchetti, iniziative, volantinaggi; c’erano appelli e mobilitazioni di intellettuali, artisti, amministratori e semplici cittadini; c’era militanza e senso civico.

Da quei 600 scatoloni usciva un urlo contro l’assoggettamento alle regole del mercato di un bene dichiarato dall’Onu diritto umano e che scatenerà le guerre del terzo millennio.

In quegli scatoloni stava una grande occasione di riscatto per la politica, anche per il Pd.

Ma il maggiore partito del centrosinistra ha deciso di perderla. Avrebbe potuto, dopo anni di scollamento, cercare di recuperare un rapporto con i movimenti, giocare in prima persona (come dovrebbe fare un partito che ambisce a diventare una forza popolare) una partita strategica: quella per l’Acqua Pubblica, segnando così una differenza importante con il centrodestra e rispondendo con i fatti a chi da anni lo accusa di essere soltanto il Pdl meno elle.

Da più parti, sopratutto dalla base, si sono moltiplicate le richieste e gli appelli ai vertici del partito perché il Pd affiancasse il Forum dei Movimenti per l’Acqua. Così come quotidianamente da ogni parte d’Italia diverse sono le voci più o meno forti che chiedono al partito, autodichiaratosi erede dei due più grandi partiti di massa del dopoguerra, di schierarsi per la tutele della terra e del paesaggio.

Tutte queste voci sono rimaste inascoltate forse perché raccogliere queste sfide avrebbe significato smentire gran parte del recente passato (mentre con quello più remoto forse ci si sarebbe riappacificati).

Impossibile smentire coloro i quali, proprio nel Pd, hanno contribuito a preparare, con un lungo e paziente lavoro, il terreno culturale da cui è nata la stessa legge sulla privatizzazione del servizio idrico e di tutti i servizi pubblici locali.

Impossibile chiedere a chi “ha deciso di pensare” che le privatizzazioni possano essere la Soluzione per i problemi del paese, di fare marcia indietro. Troppi accrediti presso Viale dell’Astronomia sarebbero stati bruciati.

Eppure, ormai, salta agli occhi di tutti come la stagione delle privatizzazioni (cosa ben diversa dalle liberalizzazioni) sia stata foriera di un generale arretramento nei servizi pubblici, sia in termini di qualità che di quantità, nonché di un complessivo impoverimento dello stesso patrimonio dello stato. Ferrovie ed autostrade sono due esempi lampanti.

Così per il Pd la battaglia per l’Acqua Pubblica è diventata davvero un’occasione perduta. Ma perché?

Perché il Pd, sull’acqua, come su altri temi scomodi e scivolosi, fa acqua.

Perché il Pd fatica a trovare una sua anima. Anzi, forse neanche la cerca. Perché il Pd su temi strategici che dovrebbero segnare la differenza rispetto a chi si colloca dall’altra parte del campo non prende posizione. E continuerà ancora a non prenderla. Almeno fino a quando a guidarlo saranno dirigenti (o sedicenti tali) che, se una volta sognavano e speravano di costruire da protagonisti un mondo e un paese diverso, oggi si accontentano di una grigia comparsata nella commedia tragica dell’economia globalizzata, dove il mercato selvaggio e prepotente prevarica i più deboli e divora i beni comuni: l’acqua, la terra, l’aria, l’energia.

Arriverà la primavera? Lo sperano in tanti. Dentro e fuori.

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Tre risposte preventive a tre obiezioni che vengono spesso mosse a chi sostiene la battaglia contro il processo di privatizzazione dell’acqua.

1. Ce lo chiede l’Europa! Falso. Lo dimostra il fatto che il sindaco socialista di Parigi, dopo 25 anni, ha riportato nelle mani del Comune la gestione dell’acqua. E non risulta aperta nessuna procedura di infrazione da parte dell’UE.

2. Si privatizza solo la gestione! Esatto. Ma se io consegno nelle mani di un privato la gestione di un servizio essenziale, tra l’altro in regime di monopolio (perché in ogni comune la rete è una sola) questi avrà potere assoluto. Se sono proprietario di un pozzo, ma il secchio è di un solo signore, quest’ultimo è il vero ed unico padrone dell’acqua.

3. Il pubblico non è in grado di gestire e le reti idriche sono dei colabrodo! E’ fuorviante. Dipende da chi si manda a gestire il servizio. Esistono esperienze di aziende pubbliche che dimostrano la massima efficienza. Il problema sta nel manico. Non nella scopa.

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