I volontari-militanti. Sì, esistono ancora. Non solo a sinistra o nell’Idv. Anche a destra c’è ancora chi guarda alla politica come strumento di condivisione, di sviluppo e discussione. Questo è stato Mirabello. Ragazzi, anziani, uomini donne, coinvolti in cinque giorni “tricolori”, al grido: non siamo servi di un padrone e delle sue esigenze, non ci facciamo comprare. Con un misto di orgoglio e ingenuità, il popolo finiano ha cercato di smarcarsi da anni di coabitazione, molto oltre le reali volontà dei suoi leader.

Falchi. Fabio Granata e la Angela Napoli i più osannati, forse anche oltre lo stesso Gianfranco Fini. Sono loro due ad aver solleticato il palato, gli stomaci dei militanti; sono loro ad aver parlato di unità nazionale, di “basta soggezione” nei confronti della Lega. E soprattutto di legalità e rispetto delle regole. Hanno difeso i giudici, senza i “se” e i “ma” del Presidente della Camera (“ci sono settori della magistratura politicizzati che vogliono ribaltare il voto” ha detto ieri durante il comizio), hanno chiesto maggiori risorse per le forze dell’ordine. Hanno “osato” rispolverare l’annosa questione del conflitto di interessi.

Colombe. Molte non si sono viste. Chi li conosce li dà già in uscita. Sono Souad Sbai, Giuseppe Consolo e Catia Polidori. Per loro giorni difficili, a volte imbarazzanti, con l’ingrato compito di mediare su quello che vuole Fini, e chi gli è vicino, e le loro sensibilità. A volte timori. A Mirabello nessuno gli ha nominati, né cercati. Trattati come appendici momentanee.

Elisabetta Tulliani. Shh, silenzio. Di lei non si parla se non sottovoce. Una personaggio ingombrante per tutti, militanti e colonnelli: quando sabato è stato confermato il suo arrivo, qualcuno ha imprecato, altri hanno manifestato il loro disappunto: “C’è il rischio che venga fischiata, forse era meglio lasciarla a casa”, il commento più comune. Alla fine è stata l’osservata speciale.

Montecarlo. Il “neo” delle giornate. In pochi credono nella totale estraneità di Fini, quasi tutti pensano a un errore dovuto all’amore o alla cecità della politica che porta a volere tutto, anche fuori dalle regole. Certo, meglio “Gianfranco e una piccola debolezza che quell’altro e tutti i traffici che ha in piedi”.

Berlusconi. Il nemico unico, il male assoluto. Mai nominarlo, così qualcuno ha anche rispolverato la vecchia formula utilizzata da Veltroni: il principale esponente del Pdl.

Sergio Mariani detto Folgorino. E’ l’ex marito di Daniela Di Sotto, già signora Fini prima dell’avvento della Tulliani. Militante di estrema destra, con una passato caratterizzato da scontri di piazza, il 10 marzo 1980 si è sparato all’addome il giorno del divorzio dalla moglie. Lei aveva scelto Gianfranco. Dopo anni e anni, anche lui presente alla Festa di Mirabello, circondato dall’incredulità generale: “Quando c’è da lottare non mi tiro mai indietro”. Anche lui ha scelto Gianfranco.

Lo striscione. Lato A: “All’eroe Mangano preferisco Saviano”; lato B: “A Berlusconi preferisco Fini”. E’ apparso davanti alla piazza del Municipio, poco fuori la manifestazione. E sono stati applausi e sorrisi.

Miss-Tricolore. Forse il momento più trash. Sedici ragazze, due italiane, il resto sparse per i pesi dell’est. A dirigerle una pseudo-impresaria, molto appariscente, di origini russe e modi bruschi della serie “io la so lunga”. Ha vinto Deborah Sartori, 26 anni da Modena. Chi era in giuria l’aveva data per terza, eppure è salita sul gradino più alto. Nessuno capisce perché. Altri azzardano: “Era l’unica italiana carina, non potevamo far vincere una bulgara”.

Luca Telese. Osannato. Il suo libro “Cuori neri” è entrato nel pantheon dei testi dai quali non è possibile prescindere. Li ha sdoganati, dicono. Per lui cori, foto e strette di mano.

Delusione. Tutti i militanti aspettavano e volevano l’annuncio di un nuovo partito. Volevano avere chiara la strada. Non è successo. Anzi, il passaggio del discorso di Fini dedicato allo scudo al premier ha messo in brividi alla platea. Nessun applauso. Ma tante facce attonite e preoccupate.

Contestazioni. Le fastidiosissime vuvuzela erano pronte per rimandare a casa i contestatori. Che erano attesi in mille, su pullman e auto da tutta Italia. In realtà sono arrivati in 4. Hanno tentato di farsi sentire, ma nessuno se n’è accorto.

Articolo Precedente

Mirabello, ritorno al passato

next
Articolo Successivo

Il Pd, lo statuto e i mandarini

next