L’estate sta finendo e ricordare il passato aiuta a intraprendere l’avvenire. E proprio in tema di Fini e di Avvenire, nel salotto di Luca Telese e di Luisella Costamagna si tirano le fila della pregnante pantomima imbastita dal Giornale di casa Berlusconi (lo scandalo Fini-Tullianos) con tre ospiti di eccezione: Lerner, Feltri e Mentana, che ha raggiunto lo studio a metà trasmissione.

Nel corso della puntata si cavalcano gli stereotipi cult del giornalismo feltriano, spaziando dal metodo Boffo all’abracadabra Fini fino al caso Verdini. I toni sfoderati dal cocchiere in tweed di casa Arcore sono inizialmente piuttosto moderati, quasi sconfinanti in un larvato “mea culpa”. L’aplomb da becchino è sempre quello, ma stavolta gli occhiali tradiscono un quid di mestizia, regalandoci una versione parrocchiale di Jack Torrance.

Ed è proprio sul caso Boffo che il gazzettiere preferito di Silvio si lancia in un contrito ravvedimento, dopo aver smisuratamente aumentato l’entropia universale con il tonitruante tormentone “un noto omosessuale, già attenzionato dalla polizia”. A riguardo, Littorio sibila una rampogna contro l’assente Stracquadanio, che nei giorni scorsi aveva invocato il “trattamento Boffo” per Giangiuda Fini (“è un’espressione infelice quella di Stracquadanio, che alla fine ha danneggiato più me e ha danneggiato ulteriormente Boffo”).

Coglie la palla al balzo Gad Lerner, che insiste sul linciaggio indegno subito da Boffo e chiede a Feltri se prova rammarico per il pessimo trattamento perpetrato dal Giornale.

Il direttore comincia a scuotersi dal torpore obitoriale e alle parole sferzanti di Lerner (“ora sembri che prendi le distanze da quel trattamento”) replica, stizzito: “Come “prendo le distanze”? Io ho preso le distanze da Stracquadanio. Forse non hai ascoltato quello che ho detto oppure mi sono espresso male.”.

E sulla feroce “lapidazione” ai danni di Boffo, Feltri abbozza un blando pentimento, infiocchettato con un bel nastro di retorica, e mazzola pesantemente la Chiesa: “A distanza di un anno è evidente che, visti i risultati, cambierei il modo di agire. Avrei fatto fare delle verifiche in più rispetto a quelle che sono state fatte e che sono risultate non del tutto esatte. Ma soprattutto il mio rammarico consiste nel fatto che continuo ogni giorno a leggere delle attestazioni di solidarietà nei confronti di Boffo, ma, guarda caso, le sue dimissioni sono state accettate. E anche questo è molto ingiusto. E a distanza di un anno la Chiesa non ha ancora offerto a Boffo qualche possibilità di uscire dal limbo nel quale è finito. Se il Giornale ha commesso degli errori nei confronti di Boffo, qualcun’altro ha commesso degli errori, accettando le dimissioni di Boffo e soprattutto non riparando al fatto di averle accettate”.

Lerner non si accontenta di questa versione posticcia di “confiteor” e rincara la dose, coniando la locuzione “codice da Feltri”. Un marchio distintivo del giornalismo infeltrito che massacra ad orologeria chi osa disturbare il “gran manovratore”, sorvolando sui compagni di merende di quest’ultimo (vedasi il caso Verdini, al quale il Giornale ha riservato uno spazio lillipuziano a fondo pagina). L’aura quasi ascetica di Littorio all’improvviso deflagra irrimediabilmente in un fremito apocalittico, trasfigurando il nostro nella versione fumettistica di Jack Torrance: “No, no, questo è falso! E’ falso! E’ falso, perchè la notizia era un’apertura!”.

“Interna”, replica Lerner.

Controbatte Feltri: “E allora non dire che era una notiziola. Perchè sei tu che fai del giornalismo…” (doverosa, a riguardo, la visione del filmato).

Ormai i vasi di Pandora sono stati scoperchiati e, dopo la pausa pubblicitaria, Littorio, livido come i neon del metrò, continua la sua filippica: “Intanto vorrei ricordare che Boffo non mi ha querelato e non mi ha fatto alcuna azione civile, così…tanto per mettere i puntini sulle “i”. Lerner mi ha rimproverato di non avere messo in grande evidenza in prima pagina la vicenda di Verdini. In prima pagina c’era e nelle pagine interne c’era un’apertura. Mentre sulla Repubblica, giornale al quale collabora Lerner, non ho letto in prima pagina nulla dell’ultima vicenda di De Benedetti e dell’azienda di De Benedetti. Una vicenda nella quale i suoi familiari avrebbero combinato qualcosa, no? Hanno fatto un giochetto in Borsa, per cui, avendo delle informazioni, hanno investito, dopodichè ci sono state un’inchiesta e una multa. Non è una sciocchezza, però, chissà perchè, la Repubblica niente. Sulla vicenda Verdini, bisogna precisare che su Verdini è in corso un accertamento della banca d’Italia, dopodichè vedremo se l’accertamento porterà ad accusare Verdini o se invece si risolverà in niente. Nel momento in cui Verdini dovesse essere accusato di qualcosa di pesante, noi naturalmente ne daremo notizia, perchè è normale che un giornale non nasconda le notizie”.

E si passa alla raccolta di firme per le dimissioni di Fini: “Credo di poter decidere se raccogliere le firme per un personaggio o per un altro. Ho deciso questo, perchè Fini ricopre un ruolo istituzionale, è la terza carica dello Stato, e trovo molto curioso che un personaggio di questo livello non senta il bisogno di chiarire la sua posizione in merito a un appartamento che AN ha ricevuto in eredità da una nobildonna”.

E a questo punto dilaga il caos più irrimediabile nella testa cinerea del povero Vittorio: “Un appartamento che poi è stato venduto per 300 euro”. Un copsus freudiano, come direbbe l’onorevole Lucchese del PDL (ex UDC). Il pugnace Feltri snocciola tutti i dettagli della saga Tullianos per finire in un preciso e mirato atto di accusa contro lo spergiuro Gianfranco: “se un uomo di destra è sempre più applaudito dalla sinistra, o c’è qualcosa che non va nella sinistra o c’è qualcosa che non va in questo uomo di destra”.

E intona nuovamente, a mò di nenia, la storiella delle 150.000 firme dei fans del Giornale, invitando Fini a dimettersi e ornando le sue alfierane parole con una perla di immensa ipocrisia: “E’ un po’ come la storia delle dimissioni di Boffo. Boffo ha dato le dimissioni, ma io non ho sollecitato Boffo a darle e mi stupisco che qualcuno le abbia accettate. Se Fini rimane in carica, sono affari suoi, ma io ho il diritto di dire ai miei lettori come la penso io, come la pensa la mia redazione, fornendo a supporto delle mie opinioni dei dati e quindi non dobbiamo parlare di una “campagna”, non è killeraggio di nessuno. Ci sono dei FATTTTTI e discutiamo sui fatti”.

La metamorfosi nella versione splatter di Jack Torrance è in agguato, soprattutto quando Lerner, che pur rimprovera a Fini un certo ritardo nelle risposte sull’appartamento di Montecarlo, ribadisce la sua definizione di “codice da Feltri”. Il direttore della gazzetta di Arcore non ci sta e si fregia del merito di aver contribuito alle dimissioni di Scajola, grazie a un suo titolone fosforescente in prima pagina su Sciaboletta.

“In realtà, a Scajola avete dato il calcio dell’asino, quando ormai era perduto!”, controreplica ridacchiando Lerner.
Implacabile l’ira di Littorio: “No! Non devi ridere! Perchè se sei disinformato, non polemizzare! La notizia l’abbiamo data noi del Giornale!”.

Ad interrompere il logorante scambio di contumelie è l’ingresso provvidenziale di Enrico Mentana, appena reduce dal grande successo del suo tg su la7 (il 30 agosto il notiziario, condotto dallo stesso Mentana,  ha ottenuto un ascolto record di 1 milione 490 mila spettatori, con il 7,31% di share e un incremento pari al 77% rispetto ai precedenti tg andati fino ad ora in onda).

L’ex mitraglia del tg5 imbonisce gli esulcerati animi, dando ragione, come al solito, a tutti e difendendo Littorio dall’accusa “dietrologica” secondo cui il direttore bergamasco esegue i diktat del padrone (“semmai è Berlusconi che ha seguito Feltri nella questione Fini e non viceversa”).

Gli occhiali di Feltri accennano una lieve commozione, ma, alla domanda di Telese sul trattamento Boffo, ritorna fuori di sè, citando il “trattamento Cederna”.

Camilla Cederna era una giornalista dell’Espresso che nel 1975 iniziò una feroce campagna di stampa contro Giovanni Leone, all’epoca Presidente della Repubblica, e i suoi familiari. Lo scandalo esplose con un libro della giornalista, “Giovanni Leone. La carriera di un presidente”, che riscosse un enorme successo di vendite. L’accusa, a cui si associarono vari intellettuali e i radicali, riguardava implicazioni del Presidente della Repubblica nello scandalo Lockheed (illeciti nell’acquisto da parte dello Stato italiano di velivoli militari, gli Hercules C130, dagli USA, pagati più del dovuto dalla Repubblica italiana.), ma anche altri presunti abusi della famiglia Leone.

Il Presidente si dimise ma non sporse querela, la Cederna, denunciata dai figli di Leone, rimediò una condanna per diffamazione con un ingentissimo risarcimento danni (quasi un miliardo agli inizi degli anni ottanta).

La giornalista, scomparsa nel 1997, fu così ricordata da Enzo Biagi: “La Cederna è stata la dimostrazione del fatto che una giornalista, quando è brava, è assai più in gamba di tanti uomini.(…) La Camilla è stata una gran signora, una persona per bene. Lei, che all’inizio sembrava il frutto dei salotti milanesi, mostrò di capire anche le ragioni delle fabbriche e, in genere, le ragioni degli altri. Con il libro “Giovanni Leone – Vita di un presidente” prese una brutta querela, perché aveva lavorato su una fonte non credibile. Alla fine, le caddero legnate addosso da tutte le parti. Era dentro la battaglia, conosceva bene il gioco, credo che si aspettasse perfino eccessi come quelli suscitati dalla vicenda. Ricordo di averla vista lavorare anni e anni per pagare, e senza batter ciglio. Apparteneva a quella specie – rara – di giornalisti sempre impegnati a dare l’anima per le cose in cui credeva. E se ha sbagliato, ha avuto sempre l’attenuante della buona fede e l’ha fatto in proprio, mai per conto terzi.”

Un ritratto lontano anni luce da quello che ne fa Vittorio Feltri, che frigna e lagna un trattamento sin troppo benevolo nei riguardi della Cederna, a differenza di quello destinato a lui, vittima sacrificale di congiure e di censure, pur essendo stato l’uomo più applaudito della Festa Nazionale del PDL e della manifestazione Cortina Incontra 2010 (la platea doveva essere presumibilmente la stessa).

Gran finale sulla villa di San Martino ad Arcore, acquistata da Berlusconi con la mediazione di Previti. Alle domande pungolanti di Telese, Littorio sfodera la sua daga affilata e bofonchia col sottofondo sghignazzante di Mentana: “Tu che non lavori all’Osservatore Romano, e neanche in un bollettino parrocchiale, ma al Fatto Quotidiano, tu e i tuoi colleghi ve ne state occupando talmente con passione…aspettiamo di leggere voi, dopodichè vi saccheggeremo. Nel frattempo ti segnalo che la vicenda della villa di San Martino, mi pare che così si chiami, è una faccenduola talmente nuova che se ne parla da quarant’anni, quando non mi pare che allora Berlusconi fosse Presidente del Consiglio o Presidente della Camera. Indubbiamente è una vicenda molto interessante. Ma siccome la fai talmente bene tu, non appena avrò tutti i documenti, vedrai che faremo anche quello.”

“Raccoglieremo le firme per lo sfratto!”, incalza sarcasticamente Lerner.

Ad aggiungere trippa al fuoco interviene Luisella Costamagna che chiede a Feltri una risposta alle recenti provocatorie dichiarazioni di Filippo Rossi, direttore di Fare Futuro (in una lettera a Paolo Berlusconi ha chiesto ironicamente di poter dirigere gratis per un mese il Giornale). La replica del vero direttore non si fa attendere: “Dopo questa boutade, proporrei Rossi per una eventuale riedizione del Male. Ecco, lì come direttore lo vedrei volentieri”.

E con Jack Torrance in versione fanfarone si chiude il sipario.

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