Da una buona istruzione, da un sistema scolastico efficiente e democratico, soprattutto da qui parte la lotta alla mafia. Scegliendo una protesta così radicale vogliamo che i palermitani e gli italiani capiscano che con i tagli della riforma Gelmini non c’è solamente in gioco lo stipendio mensile con cui campare le nostre famiglie, ma soprattutto il futuro di un’intera società. Stanno tagliando le nostre vite, e il futuro di tutti i nostri figli. Contro questa macelleria sociale i cittadini devono organizzarsi, scendere in piazza tutti insieme, perché riguarda tutti, non solamente chi nella scuola ci lavora”. Così Giacomo Russo, assistente tecnico di 31 anni rimasto senza lavoro, spiega la decisione di trasformare il sit-in di protesta organizzato dal coordinamento precari scuola della Cgil davanti alla sede del Provveditorato agli studi di Palermo in sciopero della fame. Con lui anche Salvo Altadonna, 35 anni insegnante di sostegno, e Pietro Di Grusa, 49 anni collaboratore scolastico. Quest’ultimo, oltre ad astenersi dal cibo, ha sospeso anche l’assunzione di cardioaspirina, prescrittagli per curare la sua cardiopatia. E nonostante due giorni fa sia stato ricoverato in ospedale a causa di una ipotemia, una volta dimesso ha nuovamente raggiunto il luogo della protesta.
“Pietro – spiega Giacomo Russo – è uno dei tanti lavoratori precari da molti anni che non hanno raggiunto i requisiti per la disoccupazione, dunque non gode di alcun ammortizzatore sociale e si trova in una situazione economica disastrosa: ha uno sfratto esecutivo e due figli da mantenere. L’unico aiuto che riceve proviene dalla Caritas. A confronto io, che non ho una famiglia, sono fortunato. Ma mi chiedo: che razza di Stato è quello in cui un cittadino si può dire fortunato perché non ha ancora messo su famiglia?”
Per quanto riguarda la Sicilia, la scure della coppia Gelmini-Tremonti ha comportato il taglio di 7.700 posti di lavoro nella scuola durante il 2009, e oltre 6.000 in quello in corso. Nella sola provincia di Palermo si contano 3.900 lavoratori lasciati a casa. “Il più bel regalo alla mafia che si potesse fare”, commenta Calogero Guzzetta, segretario provinciale Flc-Cgil. “A Palermo – continua Guzzetta – abbiamo il più alto tasso di dispersione scolastica della nazione, e il primo effetto di questa riforma è l’aumento del numero di alunni per classe, che da una media di 20 arriva oggi a 30, con punte di 40. Come può in questo modo un’insegnante prendere per mano in un percorso formativo ciascun bambino? Figuriamoci poi come aumenteranno gli abbandoni nelle scuole dei quartieri disagiati della nostra città”.
Una realtà scolastica, quella palermitana, che era già in ginocchio da tempo, e a cui i tagli del governo sembrano ora dare il colpo di grazia. Secondo uno studio condotto da Cgil nel maggio scorso su 1.187 scuole della provincia di Palermo, solamente il 13% è agibile, mentre il 16% è adeguato alle norme ma privo di certificazione, e ben il 71% è assoggettato a manutenzione strutturale e di impianti. E il 5% di queste ultime strutture andrebbe completamente demolito e ricostruito ex novo.
“Gli effetti di questa riforma – dice Guzzetta – sono davanti agli occhi di tutti: la carenza di personale Ata è talmente drammatica che le condizioni igieniche e di vigilanza delle nostre scuole sono inaccettabili per uno stato moderno e democratico. Le segreterie scolastiche sono letteralmente al collasso, con montagne di pratiche che languono inevase”.
Lo sciopero della fame di questi tre precari è solamente la punta di un’iceberg di disperazione e sconforto in cui sono congelate le vite di migliaia di lavoratori della scuola. Lo scorso 12 dicembre, Ignazia Maria Mamone, insegnante precaria di 50 anni, caduta in forte depressione ha deciso di farla finita lanciandosi sotto le ruote del treno Palermo-Milano vicino alla stazione di Bagheria.
“Noi andiamo avanti – dice Giacomo Russo – e da venerdì, se le mie condizioni fisiche me lo permetteranno, sarò a Roma per proseguire questa mia protesta davanti al Ministero. È l’unico mezzo che abbiamo per farci ascoltare, ma non da queste istituzioni, bensì da tutte le mamme italiane. Che devono scendere in piazza con noi, e lottare democraticamente per il futuro dei loro figli”.

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