In tasca ce l’abbiamo tutti. Nelle batterie dei nostri cellulari il tantalio non manca quasi mai. E’ un metallo raro, estratto dal coltan (columbite-tantalite), un composto che all’apparenza sembra ghiaia nera, carbone sgretolato. Si raccoglie nelle miniere del Congo (Kinshasa), dove lavorano uomini, donne e oltre 40.000 bambini in condizioni spaventose. Grazie a loro le batterie dei nostri telefonini e computer portatili sono diventate sempre più leggere ed efficienti. Il tantalio, infatti, non solo resiste al calore e alla corrosione, ma ha una “capacità elettrica” superiore a qualsiasi altra sostanza esistente in natura. In pratica può accumulare molta energia in uno spazio ridotto, meglio di qualunque altro elemento.

La grande richiesta di tantalio – il cui prezzo è salito alle stelle negli ultimi anni – ha dato vita a un fiorente mercato nero, scatenando una lunga serie di conflitti nella regione del Kivu (ad est del paese), che coinvolgono anche il Ruanda e l’Uganda, i due paesi confinanti.

Per anni, Ong come la londinese Global Witness hanno denunciato lo scandalo del coltan, senza ricevere grande ascolto. L’estrazione è continuata e le guerre locali non hanno dato tregua, se non per brevi periodi. Ora, dagli Stati Uniti, arriva una prima risposta. Una nuova regolamentazione, nascosta tra le pieghe della sezione 1.502 delle riforme destinate al sistema finanziario (approvate il mese scorso) potrebbe presto obbligare numerose società del settore manifatturiero a intensificare i controlli sulle catene di approvvigionamento, in modo da identificare la presenza di eventuali “conflict minerals” (minerali del conflitto) che possano essere ricondotti alla Repubblica Democratica del Congo o ai paesi confinanti. Sul banco degli imputati non c’è solo il tantalio, ma anche minerali come rame, germanio, oro, manganese e cobalto.

La nuova legge, che sarà pronta per l’aprile del 2011 (con effetti dal 2012), potrebbe colpire migliaia di società. Ma i controlli potrebbero risultare più complessi del previsto, dato che i minerali passano attraverso numerosi stadi di lavorazione prima di arrivare alle linee di assemblaggio delle industrie. “Stiamo collaborando con altre imprese per stabilire procedure che ci aiutino a identificare e monitorare i fornitori dei materiali”, ha dichiarato al Financial Times un portavoce di Intel, una delle società che sarebbero più colpite dal provvedimento. “E’ chiaro però che, con una catena di approvvigionamento così lunga, il monitoraggio potrebbe essere problematico”.

Nella versione finale della riforma finanziaria Dodd-Frank, promossa dall’amministrazione Obama, il provvedimento che promuove l’uso di minerali “puliti” non vieterebbe l’acquisto di “conflict minerals”, ma renderebbe obbligatorie una serie di procedure di controllo e trasparenza, aprendo la strada a pesanti sanzioni per chi non si adegua. Nel mirino della SEC (la Consob americana), che metterà a punto la normativa, potrebbero finire non solo le imprese con sede legale negli Stati Uniti, ma tutte le società quotate nelle borse USA, anche se hanno sede in Europa, Cina o America Latina.

Intanto i gruppi industriali americani del settore elettronico stanno preparando un’offensiva mediatica e di lobbying per convincere la SEC ad addolcire i regolamenti attuativi. In Aprile sapremo se avranno avuto successo. Nel frattempo i lobbisti dell’elettronica potranno essere visti sfilare a Washington, al numero 100 di F Street.

Fonte: Financial Times

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