La paura di veder tramontare il federalismo mette il silenziatore alla Lega. Dal ritiro estivo a Ponte di Legno, con consueta visita in Cadore per il compleanno di Giulio Tremonti, quest’anno non si leva alta la voce di Umberto Bossi. Neanche un “Roma ladrona” è sfuggito al leader del Carroccio. Meno male che c’è Gianfranco Fini, sul quale si può sparare liberamente. E così Bossi concentra i suoi sfoghi sull’ex An. Poco dopo mezzanotte, durante la cena di compleanno di Giulio Tremonti, il senatur sottovoce, quasi pensasse a voce alta, si lascia sfuggire un “Se Fini si dimette potremo evitare le elezioni anticipate”. Tremonti sobbalza sulla sedia, Roberto Calderoli prova a far chiudere i taccuini. Ma ormai la frase è registrata. Bossi va avanti. “E cosa va fare Fini?”, gli chiede scherzando uno dei presenti. “L’agente immobiliare”, risponde ridendo il senatur che ieri per cinque minuti si è fatto riprendere dalle telecamere con una canottiera nera. Per il resto, calma piatta.

Solo l’anno scorso esternò talmente tanto, spingendosi ad annunciare addirittura l’insegnamento del dialetto nelle scuole e il ritorno delle gabbie salariali, che dovette intervenire Ignazio La Russa: “Le idee di Bossi sono frutto del sole d’agosto”, disse. Ma non è la pioggia quest’anno ad aver placato gli animi leghisti, piuttosto la preoccupazione che sfumi l’obiettivo principe dell’alleanza di ferro stretta con Silvio Berlusconi: il federalismo. La legge è ormai blindata, dopo la commissione bicamerale va in Consiglio dei ministri, in aula non ci andrà più. Ma il rischio che cada il governo è alto. Bossi è contrario a un Governo tecnico e vuole andare al voto ma vuole presentarsi alle urne con in tasca il federalismo così “i voti sarebbero moltissimi”, ammette.

I toni si stemperano. E’ talmente basso il profilo che Bossi vuole tenere da spingerlo a puntualizzare con i giornalisti sulla secessione. “Voi interpretate le mie parole e le interpretate male; io non ho parlato di secessione ma di autogoverno. Nello statuto della Lega si parla di autogoverno, non di secessione”. Sembra lontanissimo l’agosto del 2007 quando durante il comizio di Ferragosto invitò dal palco di Ponte di Legno i militanti ad “andare all’attacco con le spallate”, a scendere in piazze con fucili e baionette per rendere “Milano capitale di questo Paese”, e a partecipare allo “sciopero fiscale”. All’albergo Ferrovia di Calalzo di Cadore, in provincia di Belluno, hanno incorniciato il fax che Bossi inviò da qui a Berlusconi il 22 agosto 2007: “Tu vuoi davvero il referendum?”. Bossi no. “No al Partito delle libertà, no al referendum, sì alla legge elettorale in parlamento”. Punto. Berlusconi rispose mesto mesto: “Il partito unico è solo un progetto futuro”. C’era ancora celodurismo nell’aria.

Anche l’anno successivo, il 2008, quando bocciò il ministro Mariastella Gelmini (“Non può esser sempre lì a chiedere i soldi al Tesoro”) e lanciò il maestro unico. Parlando di istruzione Bossi, che di lauree non ne ha neanche una pur avendola festeggiata per ben tre volte, diede persino i voti ai compagni di Governo, riconoscendo all’esecutivo un sette meno ma solo perché “Silvio ha risolto l’emergenza rifiuti in Campania”. Ma il 2008 fu l’anno della bocciatura del ponte dello stretto che il leader del Carroccio definì “il piedistallo per la statua che Berlusconi vuole costruirsi”.

L’anno scorso, come detto, scatenò l’ira di La Russa. Ma non bastò a fermarlo. E si scatenò anche su Udc e sull’inno nazionale. Il partito guidato da Casini “deve restare dove è, perché rompono solo le balle” disse Bossi durante il consueto comizio che si concluse con la consacrazione del Va Pensiero: “Il nostro inno è il Va Pensiero non quello italiano che nessuno conosce”, disse Bossi. I giornali, ad agosto solitamente scarni e poveri di notizie, vissero una settimana sulle polemiche che il leader del carroccio così scatenò. E intanto lui gongolava, visitando le chiesette del Cadore, ripetendo qua e là le consuete esternazioni, dal “libererò la gente da Roma ladrona” a “ho ordinato la carta igienica tricolore”.

Quest’anno neanche la canotta bianca si è vista, figurarsi le spallate per la secessione. I toni sono istituzionali. Da camicia con le iniziali. E così, nell’estate 2010, si difende il Capo dello Stato. Si liquidano i guai di Berlusconi (“menomale che non le ho io quelle beghe lì”) come problemi del Pdl, estranei alla Lega. Si ripete una battuta vecchia di anni (“il governo tecnico è come il cocomero, verde fuori e rosso dentro”). E si guarda al futuro: federalismo e voce agli elettori prima possibile. “Non c’è un’altra maggioranza”, sentenzia Bossi in mattinata. L’unico a poter convogliare la fiducia necessaria sarebbe Giulio Tremonti ma “Giulio è fedele, è un mio amico e non farebbe mai una porcata del genere”, aveva detto la notte scorsa. Il momento è propizio per il voto, “Fini e la sinistra hanno paura”, ha rincarato ieri dopo pranzo. Quindi “meglio un mese che tre anni di stallo. Non ho paura di niente”. Niente più Va’ Pensiero, né suggerimenti su fantasiosi usi alternativi della bandiera tricolore. E si attende di conoscere il risultato del colloquio che Calderoli e Tremonti ieri hanno avuto con Berlusconi a Roma, dopo la visita alla camera ardente di Francesco Cossiga. Uno a cui, dice Bossi, “piaceva il mare mosso e quando era calmo soffiava lui”. Cossiga agitava le acque. Anche il senatur ha smesso di farlo.

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