di Marcello Ravveduto

Li chiamano “criminal network”. È il nome di un gruppo musicale? No, sono i siti web dedicati alle mafie. Attenzione, non si tratta di pagine dai contenuti edificanti, sono vere e proprie apologie della criminalità. L’invasione barbarica viaggia su Facebook. Un ragazzino di 12 anni, il 22 marzo 2010, ha creato, sul network delle facce, un gruppo dal titolo significativo: “A’ Scission Ro Rion” che tradotto è “La scissione del rione” (lo slogan è scritto in un dialetto parlato che ignora la lingua napoletana). Il titolo è didascalico, si riferisce alla sequela di morti ammazzati che hanno bagnato di sangue le strade di Scampia.

Quando la notizia dell’esistenza di un simile gruppo (o devo dire clan virtuale?) è diventata di dominio pubblico, attraverso un articolo di stampa e un servizio televisivo, l’amministratore del social network lo ha chiuso; intanto aveva già raccolto quasi 5000 fan. I link postati erano di questo tipo “meglio morto che pentito, i pentiti sono guappi di cartone che hanno paura della galera (ritornello della canzone neomelodica Femmena d’onore interpretata da Lisa Castaldi, la versione maschile e giovanile è cantata da Zuccherino con il titolo di Pentito), meglio disoccupato che servo dello stato (con un chiaro riferimento fotografico ai carabinieri). Preso dalla furia comunicativa il ragazzino ha voluto fare lo “smargiasso” pubblicando il link È una masseria senza capo, per sottolineare il vuoto di potere al rione Masseria Cardone. Il dodicenne si accorge di aver “pisciato” fuori dal vaso quando interviene tra i commentatori un tal Enzo Licciardi che gli spiega di continuare a fare il ragazzino, altrimenti dovrà assumersi la responsabilità di ciò che ha scritto. Minacce on line? No, di più: le nuove leve criminali seguono il magmatico mondo dei social network e lo utilizzano per inviare messaggi espliciti.

A maggio il gruppo riappare. La “rinascita” a tutt’oggi conta solo 150 iscritti. I post sono dello stesso tenore ma questa volta su tutti viene privilegiato il modello Scarface. Accanto alle foto di Al Pacino troviamo frasi del tipo: i camorristi ragionano sempre con il cervello oppure Se tradirai questo pane diventerà piombo mentre l’attore nei panni di Tony Montana spara urlando. Poi nella casella cosa stai pensando appaiono due scritte nella stessa giornata: La legge non mi fa paura… qui lo stato sono io e Io non prendo ordini da nessuno quindi tappatevi la bocca scarafaggi. A questo punto entra in scena tal Enzo Montana (il cognome è preso in prestito al protagonista del film per dimostrare di “essere uno buono”) che dichiara di aver ideato il gruppo censurato e poi apostrofa il rifondatore in malo modo. È il 12 maggio. Fine delle trasmissioni.

Ma non finisce qui. Esiste una pagina fan dal nome sintomatico Camorra and love che ha addirittura 465.445 persone tra gli amici. I messaggi postati si alternano tra mielose frasi d’amore adolescenziale di periferia e orgogliose affermazioni giovanilistiche prive di contenuto morale. Il successo ottenuto ha scatenato da un lato una emulazione con l’apertura di pagine simili, sempre con lo stesso nome, dall’altro una guerra tra bande virtuali condotta da altri gruppi che inquinano i contenuti di Camorra and love con commenti demenziali.

Le nuove generazioni trasformano le “gesta” dei clan in suggestione mitopoietica di massa. La maggior parte dei giovani che danno vita ad un criminal network appartengono a fasce sociali marginali. Non fanno altro che fagocitare i processi di acculturazione digitale metabolizzandoli e restituendoli sotto forma di subcultura criminale. Un fenomeno paradossale: i figli dei neoplebei hanno difficoltà ad esprimersi in italiano, ma usano il web per veicolare ed imporre, con il linguaggio dell’avvertimento mafioso, il loro stile di vita. Analfabeti analogici ma alfabetizzati digitali.

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