Ieri il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta e la Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per la “realizzazione di un programma d’innovazione per l’azione amministrativa” nel Lazio.

I protocolli d’intesa – come ben sa chiunque abbia vissuto nel nostro Paese anche solo un paio di settimane – sono, sostanzialmente, “aria fritta” e servono – salvo rare eccezioni – solo a pubblicizzare iniziative che altrimenti passerebbero in sordina ed ad aver un’occasione per invitare giornali e tv in conferenza stampa.

Scorrendo le 12 pagine del protocollo d’intesa appena firmato da “Renato e Renata” risulta evidente che, anche in questo caso, si tratta di poco più che di un’iniziativa auto promozionale di inizio estate.

Non c’è, infatti, una sola parola che lasci intendere che, nei mesi che verranno, il Ministero o la Regione Lazio, faranno qualcosa di più di quanto non avrebbero comunque fatto o, almeno, dovuto fare per il perseguimento dei propri scopi istituzionali.

Il punto, tuttavia, non è questo.

Il protocollo d’intesa, infatti – ancorché, probabilmente, inutile sul piano pratico operativo – rivela una preoccupante linea di politica dell’innovazione evidentemente perseguita dal Ministro Brunetta e condivisa dal Presidente della Regione Lazio Renata Polverini.

Entrambi – ed in linea di principio è difficile dar loro torto e vien, anzi, voglia di attribuire loro un plauso – sembrano ambire ad una pubblica amministrazione che utilizzi, in modo crescente, internet per l’erogazione ai cittadini di tutta una serie di servizi essenziali.

Niente di male, naturalmente, a darsi un obiettivo di questo genere ed a sognare una Regione – in questo caso la Regione Lazio – che sia in grado di dialogare con i cittadini attraverso comunicazioni elettroniche (pazienza se, alla fine, sarà la PEC o la CEC PAC) o che consenta a questi ultimi di effettuare pagamenti o prenotazioni di visite ed accertamenti medici online.

Il problema è, tuttavia, un altro.

E’ noto – e ce lo hanno di recente ricordato a “chiari numeri” le statistiche pubblicate dall’OCSE – che il nostro Paese è fanalino di coda in Europa – ed in vero la prospettiva non cambia di molto se si allarga l’orizzonte a livello globale – in termini di penetrazione e diffusione delle risorse di banda larga.

Solo 20 abitanti su 100 nella Penisola dispongono di un collegamento a banda larga il che ci pone al 21esimo posto al mondo in termini di diffusione della banda .

La situazione nel Lazio non è più rosea.

E’, dunque, evidente che la maggioranza dei cittadini italiani – i numeri e le percentuali, al riguardo, hanno un peso relativo – non è in grado di accedere ai servizi della famosa PA digitale che sogna il Ministro Brunetta e che la Presidente Renata Polverini, promette di diffondere nella Regione Lazio.

In tale contesto, come giustamente segnala l’ADICONSUM in un comunicato stampa di ieri è elevato il rischio che la politica di “esasperata” – ammesso che alle parole contenute nel protocollo d’intesa seguano fatti concreti – diffusione delle tecnologie telematiche nel rapporto tra PA e cittadini finisca con l’ampliare esponenzialmente il digital divide, consentendo ai fortunati raggiunti da adeguate risorse di connettività di beneficiare di un rapporto con la PA sempre più facile ed efficiente e privando gli sfortunati non ancora – e chissà per quanto – raggiunti dalla banda larga della possibilità di fare altrettanto.

Il rischio – davvero elevato – è, in altre parole, che le tecnologie dell’innovazione che, ovunque nel mondo, stanno contribuendo in maniera determinante allo sviluppo della democrazia ed all’omogeneizzazione delle posizioni dei cittadini dinanzi alla Pubblica amministrazione, in Italia producano l’effetto opposto ovvero contribuiscano a creare dei cittadini di serie A in grado, in pochi click, di prenotare un esame medico o richiedere un certificato al municipio e dei cittadini di serie B – il più delle volte proprio quelli che abitano nelle periferie ed ai margini delle metropoli – costretti a dover continuare a recarsi fisicamente negli uffici pubblici e farsi carico delle lunghe ed interminabili code che ciascuno di noi ben ha presenti.

E’ uno scenario che un Paese moderno e democratico – sulla carta lo siamo ancora – non può correre il rischio di veder divenire realtà.

Ciò, naturalmente, non significa che si debba frenare la digitalizzazione della pubblica amministrazione né rinunciare all’innovazione ma, piuttosto, che occorre agire, in via prioritaria, sulla diffusione delle risorse di connettività al fine di porre tutti i cittadini nella condizione di beneficiare dei vantaggi offerti da internet e dalle nuove tecnologie.

Nonostante la diffusa tendenza a ritenere il contrario, infatti, lo Stato non è una società a scopo di lucro che possa – nel disegnare il proprio modello di business – decidere di offrire dei servizi di “base” a taluni clienti e dei servizi “premium” ad altri.

Quando si tratta di servizi pubblici essenziali e di consentire ai cittadini l’esercizio di diritti e libertà fondamentali è indispensabile che il Palazzo guardi ai cittadini come ad una categoria unica ed indivisibile alla quale attribuire assoluta parità di condizioni di accesso.

E’, pertanto, urgente che il Ministro dell’Innovazione e la Presidente della Regione Lazio, rivedano la loro intesa e prima di promettere a qualche cittadino la possibilità di inviare una PEC ad un ufficio pubblico, garantiscano a tutti i cittadini la possibilità di accedere ad Internet a parità di condizioni.

Si tratta, sfortunatamente, di un obiettivo ancora lontano.

Articolo Precedente

Le elezioni e la democrazia reale

next
Articolo Successivo

Camigliano, Gomorra e la firma di Napolitano

next