Scozia, luglio 1994: arriva la pecora Dolly. In un laboratorio presso Edimburgo si crea il primo esemplare di mansueto ovino tutto geneticamente copiato. A 16 anni di distanza il tema della clonazione torna a essree attuale in Gran Bretagna. Questa volta si cambia animale. Scozia 2010: una o due mucche clonate, o forse più, sono entrate nella catena alimentare di un popolo che va matto per la bistecca. E da qualche giorno non mangia più troppo tranquillo.

La notizia è emersa nell’ambito di una indagine della britannica Food Standards Agency, che ha accertato come almeno due bovini nati con embrioni clonati sono stati portati in una fattoria delle Higlands scozzesi, e macellati la prima a luglio 2009, la seconda poco più di una settimana fa. Gli esemplari sarebbero arrivati dagli Stati Uniti, anche perché l’Unione Europea vieta la clonazione degli animali, ma non l’importazione di embrioni geneticamente copiati. Dalla ricerca risulta poi che la carne del primo animale, ma non quella del secondo, sarebbe entrata nella catena alimentare. Di un terzo animale, nato nel 2007, è invece nota la data di macellazione, tre anni dopo, ma non successivo destino.

In Gran Bretagna la vicenda sta faticosamente emergendo, anche grazie ad un’inchiesta su latte proveniente da mucche clonate rivelato i primi di agosto, ma il fenomeno potrebbe essere diffuso anche in altri Paesi, magari esportatori di carne in Italia.

Sul fronte della salute dei consumatori le opinioni divergono. Il parlamento di Bruxelles ha da poco votato la messa al bando di carne e altri prodotti destinati al consumo alimentare provenienti da animali clonati, anche se il voto definitivo è atteso per settembre. Sibillina la European Food Safety Authority, che nel 2008 giudicava non particolarmente alti i rischi per la salute, senza specificare molto di più. La messa a punto dell’ingengerìa genetica in America e, per non allontanarsi troppo, in Svizzera, dove la clonazione non è vietata, esercitano una pressione notevole sui produttori europei. Che in ogni caso possono, al momento, importare embrioni clonati senza contravvenire ad alcuna regola.

Tranquillizza Tim Smith, direttore della Food Standards Agency, getta acqua sul fuoco Grahame Bulfield, ex direttore dell’Istituto Roslin, famoso per Dolly: “Gli animali clonati non sono in alcun modo geneticamente modificati”, e bolla come insensate tutte le preoccupazioni per la salute dei consumatori.

Di tutt’altro parere Peter Stevenson, che rappresenta Compassion in World Farming, una delle tante associazioni in allerta per quanto sta avvenendo nel mercato alimentare britannico. Stevenson ha dichiarato alla BBC che la clonazione “rappresenta i processi di inumana mescolanza selettiva spesso implicati nella produzione intensiva di carne”. Motivo questo che aiuta forse a spiegare le timidezze da parte degli organismi di controllo riguardo ai reali rischi per i cittadini.

Articolo Precedente

Bomba biologica a Milano. Grossi scappa
e ci lascia una multa da 440 milioni

next
Articolo Successivo

Il modello al contrario

next