E’ da una vita che aspetta di diventare ministro. E adesso che stava per farcela, per sedersi sulla poltrona lasciata libera da Claudio Scajola al ministero dello Sviluppo economico, si è messo di mezzo il Quirinale. Paolo Romani ha una storia professionale, politica e giudiziaria che mal si addice alla carica di ministro della Repubblica: soprattutto per una lunga e complessa indagine per bancarotta di cui è stato protagonista. Eppure ha tanto aspettato questo momento: facendo di tutto, nell’attesa, per rendersi utile al capo. Nel 2007, benché fosse già viceministro, ha fatto perfino l’assessore all’urbanistica a Monza, attento a presidiare gli interessi immobiliari locali della famiglia Berlusconi (che allora voleva costruire Milano 4 sull’area monzese della Cascinazza). Ora stava per raggiungere la meta. Ma forse non ce la farà. Eccola, la storia del quasi ministro bloccato a un passo dal traguardo.

Paolo Romani è uomo di televisione. Un pioniere: ha cominciato nel 1974 a lavorare nelle “tv libere”, impiantando, con Marco Taradash, TeleLivorno. Poi è stato al fianco di Nichi Grauso a Videolina, di Alberto Peruzzo a Rete A. Ha guidato la prima Telelombardia di Salvatore Ligresti. Infine si è messo in proprio, inventandosi Lombardia 7. La rete ottenne un certo successo. Non per il tg: il programma forte era “Vizi privati”, strip molto espliciti e molto caserecci presentati da un’ingovernabile Maurizia Paradiso. Con la scatenata Maurizia, dopo un lungo sodalizio, Romani finì per litigare e, dice la leggenda, il litigio degenerò in scontro fisico e molto doloroso.

Era stato un giovane liberale. Ma nel 1994 Romani resta folgorato da Silvio Berlusconi e s’imbarca in Forza Italia. Sceglie la politica, anche perché gli affari non vanno più benissimo. Viene eletto deputato, vola a Roma e abbandona Lombardia 7 al suo destino. Nel 1994 la vende, almeno formalmente: giusto in tempo per evitare l’onta del fallimento. Sì, perché i nuovi proprietari comprano la tv già piena di debiti e poi la lasciano naufragare. È un’allegra banda a cui non interessano per niente i programmi e i palinsesti. Hanno altri obiettivi: incamerare le frequenze, bene prezioso da rivendere in futuro; e fare giochi di prestigio con la pubblicità. Attraverso un giro di “cartiere” e di fatture false, infatti, fanno razzia di molti miliardi di lire (almeno 81 tra il 1997 e il 2001), messi al sicuro in Svizzera. Poi fanno sparire i documenti contabili e portano al fallimento prima Lombardia 7, che “salta” nel 1999 lasciando debiti per oltre 12 miliardi di lire, poi anche Rtv Produzioni di Padova, che s’inabissa nel luglio 2000. Risultato: intervengono tre procure della Repubblica, quella di Bergamo, quella di Monza, quella di Bologna.

Nel 2003, zitti zitti, tentano il colpo finale: vendere le frequenze alla Rai, che le vuole utilizzare per il digitale terrestre. Merito della legge Gasparri, che dà il via libera alla compravendita delle frequenze (come permettere ai posteggiatori di vendersi le piazze dei parcheggi). L’allora direttore generale della Rai, Flavio Cattaneo, incontra gli emissari del gruppo, che gli offrono le frequenze a prezzi d’amatore: 7,5 milioni di euro per quelle di TvSet e addirittura 24 milioni per quelle di Lombardia 7. È un giornalista che rovina la festa: Paolo Biondani sul Corriere della sera (“Nasce indagata la tv del futuro”) racconta che dietro TvSet c’è la banda già inseguita da tre procure d’Italia per bancarotta, associazione a delinquere, false fatture, riciclaggio, falso in bilancio.

E Romani? Zitto. Formalmente non c’entra nulla. Ha venduto Lombardia 7 nel 1994. Ma della società che conta, Lombardia Pubblicità, resta legale rappresentante almeno fino al 1998 e azionista e proprietario del 5 per cento fino al 2003. Insomma: continua ad avere rapporti d’affari con la banda. Nel mondo delle tv private c’è poi chi mette in dubbio che abbia venduto davvero, c’è chi sussurra di accordi sottobanco. Ma questi sono solo sospetti, maldicenze senza prove. Di sicuro c’è solo che Romani, per il fallimento di Lombardia 7, è stato a lungo indagato per bancarotta preferenziale: per aver cioè intascato i soldi di un’azienda in crisi, togliendoli di fatto ad altri creditori. Ha infatti sottratto a Lombardia 7, prima di volare a Roma, oltre 1 miliardo di lire: in assegni “monetizzati dallo stesso Romani”. Al termine delle indagini, il pubblico ministero ha però chiesto per lui l’archiviazione, ritenendo di non avere elementi sufficienti per ottenere una condanna in dibattimento. Il giudice per le indagini preliminari l’ha rifiutata, ordinando l’imputazione coatta. Il pm ha eseguito l’ordine. Infine un secondo gip ha definitivamente archiviato. Romani ha dovuto comunque pagare 400 mila euro come risarcimento al curatore fallimentare della sua (ex) tv.

Con un curriculum così, anche Romani è pronto a entrare nel governo dei Cosentino, dei Brancher, degli Scajola. Ma può dirigere lo Sviluppo economico un uomo che in vita sua ha diretto una sola azienda, che poi è miseramente fallita? Per ora qualcosa o qualcuno lo ha impedito. Nei prossimi giorni sapremo come andrà a finire.

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