Una notizia è una notizia anche quando a darla è un giornale servo del potere. E un politico deve rispondere alle domande anche quando le pongono i camerieri del sultano. La storia della casa di Montecarlo donata dalla contessa Colleoni al’ex segretario di Alleanza Nazionale nel 1999 e ora abitata dal cognato di Gianfranco Fini è una buona occasione per riflettere sullo stato della politica e del giornalismo e del rapporto tra i due poteri in Italia.

Se fossimo in Gran Bretagna Fini dovrebbe dimettersi da presidente della Camera non per la sua cacciata dal Pdl ma per la scarsa trasparenza sull’affaire monegasco a cavallo tra partito e famiglia. In mancanza di risposte convincenti sulla traettoria che ha portato il lascito della contessa dalla “giusta battaglia” all’uso personale del fratello della sua compagna, Fini sarebbe un politico finito.

Il suo ruolo impone al presidente della Camera di chiarire tutto e subito. Fini non si limita a suonare il campanello per sedare gli animi dei parlamentari più scalmanati ma guida un’istituzione che gestisce tra contratti e forniture un bilancio miliardario. Il Fatto Quotidiano dal giorno successivo alla pubblicazione della notizia della casa di Montecarlo sul Giornale di Paolo Berlusconi ha scritto che Fini dovrebbe dare una risposta alle domande poste dal cognome “Tulliani” apposto di recente sulla cassetta postale che fu della contessa Colleoni. Il presidente della camera, come già in passato sugli appalti televisivi affidati dalla Rai alle società della famiglia della compagna (dei quali anche Il Fatto Quotidiano si è occupato) non ha detto una parola. I grandi giornali hanno evitato di chiedere conto al presidente della Camera e si sono limitati a riportare la notizia in una breve che raccontava l’ennesimo attacco del Giornale a Fini.

Questo atteggiamento può trovare una giustificazione nella fonte della notizia e nei tempi prescelti per la sua pubblicazione. Non siamo in Gran Bretagna e se non sono anglosassoni i politici lo è ancora di meno la nostra stampa. Insomma sappiamo bene che se Fini non è Cameron, Il Giornale non è il Times e Libero non è l’Independent. Il quotidiano di Vittorio Feltri appartiene al fratello del presidente del Consiglio mentre quello diretto da Maurizio Belpietro è di un parlamentare del Pdl, Antonio Angelucci, ed entrambi ottengono i loro ricavi pubblicitari dalla concessionaria Visibilia del sottosegretario del Governo, Daniela Santanché.

La campagna anti-Fini è stata avviata dai due giornali appena l’ex leader di An ha osato distinguersi da Berlusconi sui temi che più stanno a cuore al padrone del Pdl. E si sono accentuati quando i finiani hanno tirato fuori la questione morale all’interno del partito del presidente per i casi Verdini, Scajola, Brancher e Cosentino. L’uso della stampa come una clava per minacciare e poi colpire il dissenso è un’anomalia pericolosa più della storia della casa della contessa fascista affittata al cognato di Fini da una misteriosa società anonima delle Antille, ma il dito sporco non deve nascondere la luna.

Il collega del Giornale, Gian Marco Chiocci, ha scoperto un filone interessante. La sua inchiesta è uno scoop che qualsiasi giornalista investigativo sognerebbe di fare. Siamo di fronte quindi a un esempio di corretto funzionamento del ‘Quarto potere’? Siamo davanti alla festa della democrazia che si celebra ogni volta che un giornalista addenta la preda e svolge il suo ruolo di cane da guardia della politica nell’interesse dei cittadini? In realtà la scena che abbiamo di fronte somiglia di più a quella di una muta di mastini lanciata dalla famiglia Berlusconi contro l’ex braccio destro del premier che lo ha denudato di fronte all’opinione pubblica come protettore dei corotti. La stampa italiana in questa vicenda non fa una bella figura.

Le inchieste sugli affari delle famiglie Bocchino, Tulliani e Granata sarebbero state un esercizio di coraggio giornalistico se fossero uscite sul Giornale e su Libero quando Berlusconi filava d’amore e d’accordo con Fini. Oggi sono solo la conferma che la stampa italiana resta l’arma del più forte e non lo strumento di difesa del più debole. C’è una bella differenza tra l’inchiesta ‘Casa nostra’ de L’espresso sulle case acquistate con lo sconto da Franco Marini, Walter Veltroni e Clemente Mastella, e gli articoli del Giornale sull’appartamento affittato da monsieur Tulliani a Montecarlo. Nel primo caso un giornale di proprietà di Carlo de Benedetti (che aveva finanziato l’Udeur di Mastella e sosteneva il Governo Prodi) svelava gli altarini immobiliari ed editoriali del ministro della Giustizia del centrosinistra, facendo tremare il Governo amico. Oggi invece il Giornale di Vittorio Feltri colpisce il nemico del fratello del padrone in un momento di difficoltà. La libertà di stampa può essere invocata quando è usata per difendere i governati dai governanti e non quando serve come arma del governante più forte contro quello più debole.

Ciò posto, l’articolo di Gian Marco Chiocci rivela un fatto che interessa non solo all’uomo più potente d’Italia che è anche il fratello del suo editore ma anche al pubblico. E sbagliano i grandi quotidiani che non approfondiscono i profili oscuri della vicenda monegasca liquidando lo scoop del collega come “fango” lanciato da Berlusconi su Fini.

Il comportamento corretto da tenere per avvicinare il nostro paese a una democrazia occidentale è quello di comportarsi come se fossimo in Gran Bretagna anche se i politici, i colleghi e persino i lettori si comportano come in Thailandia. Anche a costo di somigliare al marziano di Flaiano o all’englishman di Sting, sfidando l’ironia e i sorrisi di commiserazione di chi ha capito come va il mondo in Italia, bisogna comportarsi come un marziano a Roma o come un englishman a Milano. Certo, se fossimo in Gran Bretagna Il Giornale non sarebbe di proprietà di Paolo Berlusconi, il fratello non occuperebbe Palazzo Chigi e il cognato di Fini non occuperebbe la casa di Montecarlo. Ma se fossimo in Gran Bretagna i giornali, tutti i giornali di destra e sinistra, cercherebbero di scoprire la verità sulle società off-shore delle Antille che hanno messo le mani sul lascito della contessa. E lo farebbero nell’interesse esclusivo del vero padrone che, almeno per il Fatto Quotidiano, è uno solo: il lettore. Ed è quello che faremo. Oh yes.

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