Proprio mentre il Parlamento si avvia a varare un provvedimento con il quale minaccia di estendere all’intera blogosfera italiana l’applicazione della legge sulla stampa e dunque di imporre a non professionisti dell’informazione del 2010, regole pensate per i professionisti dell’informazione del 1948, rimbalza dalla Procura della Repubblica di Bergamo la notizia di un provvedimento a dir poco liberticida contro un blogger.

Ecco i fatti.

Il Dr. Giancarlo Mancusi, lo stesso Pubblico Ministero, già protagonista del sequestro della Baia dei Pirati – il noto motore di ricerca specializzato nell’indicizzazione di files torrent – questa volta, ha chiesto, ottenuto ed eseguito il sequestro del blog www.il-giustiziere-lafabbricadeimostri.blogspot.com un blog di Stefano Zanetti, sociologo e blogger, accusato di aver pubblicato alcuni post diffamatori.

Ancora una volta – esattamente come già accaduto nella vicenda di The Pirate Bay – il Giudice, accogliendo l’istanza del PM ha ordinato il sequestro preventivo del blog disponendo – si legge nel provvedimento – “che i provider operanti sul territorio dello Stato italiano inibiscano ai rispettivi utenti l’accesso all’indirizzo www.il-giustiziere-lafabbricadeimostri.blogspot.com, ai relativi alias e collegamenti URL presenti e futuri rinvianti al sito medesimo, nonché all’indirizzo IP statico che al momento risulta associato ai predetti nomi e collegamenti URL ed ad ogni ulteriore indirizzo IP statico associato ai nomi stessi”.

Se il provvedimento fosse stato effettivamente eseguito secondo quanto disposto dal Giudice, l’intera piattaforma di blogging di Google, con i suoi milioni di blog che garantiscono ad altrettanti cittadini di tutti i Paesi del mondo un’opportunità di dire la loro, informare e diffondere le proprie idee, sarebbe divenuta inaccessibile dal nostro Paese.

Un uragano senza precedenti si sarebbe abbattuto sul sistema dell’informazione online e, ancora una volta, si sarebbe rischiato lo scontro tra culture giacché ci saremmo trovati costretti a spiegare alla diplomazia di oltre oceano perché in Italia si abbia così poco rispetto per l’informazione.

Tutto questo perché, forse – sarà il giudizio ad accertarlo – un blogger, su un blog da qualche migliaio di contatti al mese, ha pubblicato un pugno di post diffamatori.

Il PM, tuttavia, questa volta, si è, forse, reso conto di aver esagerato nella richiesta e, rilevato che l’esecuzione integrale del provvedimento avrebbe potuto comportare “l’oscuramento dell’intera piattaforma blogspot – con ogni conseguente ripercussione – di segno negativo – sui numerosi blog estranei alle condotte criminose contestate”, nel dettarne le misure di attuazione, ha, fortunatamente, ritenuto di limitare l’esecuzione del sequestro “- al momento – (n.d.r. quasi si riservasse, in un momento successivo di non accontentarsi ed andare oltre) all’oscuramento del blog interessato dal provvedimento cautelare”.

Anziché ordinare a tutti i provider italiani di rendere inaccessibile il blog, quindi, il PM ha chiesto alla Guardia di Finanza di ordinare a Google di “inibire l’accesso al blog oggetto di sequestro e soltanto ad esso”.

Detto, fatto. Il blog di Stefano Zanetti è attualmente irraggiungibile e chiunque provi ad accedervi si vede, semplicemente, rispondere da Google: “il blog che stavi cercando non è stato trovato”.

Sarà il processo – come è giusto che sia – a far chiarezza sulla sussistenza o meno della diffamazione contestata al Dr. Zanetti ed ad accertare la sua eventuale responsabilità ma, ora, il punto è un altro.

Il PM con il suo provvedimento pur avendo risparmiato – almeno per ora! – l’oscuramento all’intera piattaforma blogspot ed ai milioni di blog su di essa ospitati ha reso inaccessibili centinaia di post già pubblicati sul blog oggetto di sequestro in anni di attività e, soprattutto, precluso a Stefano Zanetti di poter continuare a dire la sua e, quindi, manifestare liberamente il proprio pensiero salvo, ovviamente, rispondere di eventuali abusi.

Si tratta di una decisione inammissibile e di un episodio – purtroppo non il primo nel nostro Paese – di inaudita gravità.

L’art. 321 del codice di procedura penale, infatti, prevede che “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”.

La “cosa pertinente al reato” suscettibile, nel caso di specie, di “aggravare o protrarre le conseguenze di esso”, tuttavia, sono evidentemente i singoli post che si assumono diffamatori e, certamente, non l’intero blog.

E’ un concetto semplice e, sorprende che sul punto continui ad esserci spazio per errori grossolani e fraintendimenti che minacciano di compromettere la libertà di informazione in Rete.

Disporre il sequestro di un intero blog e mettere a tacere un blogger, precludendogli di continuare a scrivere e dire la sua ha più il sapore di una sanzione preventiva – rispetto al processo – che di una misura cautelare ed è un po’ come se si stesse anticipando un giudizio addirittura sulla “tendenza a delinquere” del blogger ovvero a diffamare e, dunque, si ritenesse opportuno imbavagliarlo prima che offenda ancora.

Ancora una volta, l’informazione online è trattata da “figlia di un Dio minore”: sempre più obblighi ed oneri sulle spalle di blogger e web tv e sempre meno diritti e libertà.

Occorre ripristinare senza ritardo quel principio vecchio ma immortale contenuto nell’art. 19 della dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo e del cittadino, secondo il quale “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.” salvo, naturalmente, rispondere degli eventuali abusi.

Credo il punto sia esattamente questo: non si tratta di sollevare la blogosfera da ogni responsabilità e riconoscerle il diritto di violare gli altrui diritti ma, piuttosto, garantire, senza esitazioni né incertezze, a tutti i cittadini italiani, il diritto di usare la Rete per dire la loro e diffondere le loro idee.

Sembra facile e, forse, persino ovvio ma, sfortunatamente, dopo anni di TELE-COMANDO non è così ed in molti, forse troppi, continuano a pensare che la Rete possa accendersi e spegnersi con un pulsante come una TV e che la scelta dipenda debba dipendere dai soliti noti.

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