Non meno di un mese fa è scomparso “o’ guerriero”, Pietro Taricone. Amici, vip, soloni e precari della comunicazione, oltre 400.000 suoi aficionados raccolti su Facebook, tutti hanno speso fin troppo rituali parole di elogio. Di Anna Lupini, sulle pagine di “Repubblica”, la chiosa più tipicamente efficace: “La morte di Pietro Taricone sembra inaccettabile. Il giorno dopo la tragica scomparsa del giovane attore, padre di una bimba di sei anni, non accennano a diminuire le manifestazioni di cordoglio: in Rete, sui giornali, in televisione e nel mondo dello spettacolo, è una gara a ricordare e onorare la memoria del personaggio”. Roberto Saviano poi ha voluto ricordare l’ex-compagno di scuola, definendolo “carismatico, solare e un po’ guascone”. Francesco Alberoni ha scomodato Marshall MacLuhan per ribadire che “la televisione trasforma il mondo in un villaggio in cui qualsiasi personaggio televisivo diventa un tuo vicino di casa. Questo era diventato Taricone, un caro amico morto troppo giovane e che lascia una moglie, una bambina”.

Altro villaggio, altri vicini di casa, altra tragedia. Il 24 luglio scorso, alla Love Parade di Duisburg, non c’erano idoli da adorare, solo l’ennesimo rito di condivisione da vivere in assoluta, gioiosa libertà. Quel giorno disattenzione, incompetenza e indifferenza hanno fatto morire venti “persone” e oltre mille risultano ancora disperse. Le immagini video di Duisburg mi hanno rimbalzato indietro esattamente di venticinque anni. Mi hanno ricordato lo strazio, la rabbia e l’impotenza provate guardando in diretta il compiersi di un’altra folle tragedia, quella dello stadio Heysel di Bruxelles, che portò alla morte 39 tifosi, poco prima della finale di Coppa dei Campioni, tra Juventus e Liverpool.

Chi piangerà i morti di Duisburg, a parte le loro famiglie e i loro amici? Chi spenderà parole “alte” per onorare la memoria di corpi senza nome, lontani, astratti, tanto che gli organizzatori hanno voluto che la “festa” continuasse, facendo in modo che la gran massa del pubblico non si accorgesse dell’accaduto? Come scrive Luigi Zoja, in quest’epoca del “tutto mediato, tutto mediatico”, “siamo alla soglia di un territorio nuovo. Dove la morale dell’amore non è più possibile per mancanza di oggetto”. Di oggetto “reale”, aggiungeremmo noi. E sono sempre l’indifferenza, la “latitanza” morale, l’inconsapevole deriva umana, i nemici ultimi da combattere.

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