Occhio alle due decisioni parlamentari di quest’ultima settimana di luglio: ne va di quel che resta della legalità. Martedì si decide sui tempi del voto in aula per la leggebavaglio, giovedì si eleggono gli otto membri politici del Csm.

Sulla prima questione deciderà Gianfranco Fini. Liberamente e sovranamente. Il regolamento della Camera stabilisce infatti che in caso di disaccordo tra i capigruppo è il Presidente che sceglie come giudica meglio. E tra i capigruppo ci sarà solo lite: la maggioranza vuole che si approvi la legge (emendata dalla Bongiorno) subito, le opposizioni che si introducano almeno tre altre modifiche e comunque si rimandi a settembre.

Berlusconi vuole a tutti i costi il voto subito perché sa che la legge impedirà che escano altre telefonate legate alla vicenda Trani (manovre della cricca tv per cancellare Santoro), e ai tanti altri misfatti di cui noi non sappiamo ma lui sì. E soprattutto vuole la legge perché renderà infinitamente più difficile il lavoro dei magistrati anche per la verità – ormai vicinissima, ci è stato detto – sull’assassinio di Borsellino e i depistaggi di Stato, e il precedente “papello” Riina con trattative annesse e connesse.

Gianfranco Fini non si nasconda perciò dietro un dito. Martedì deciderà, liberamente e sovranamente, se fare un REGALISSIMO a Berlusconi o un gesto elementare in difesa della dignità della Camera che presiede. Decida in coscienza, ma poi non accampi scuse: col Regalissimo a Berlusconi smentirebbe quanto ha dichiarato solennemente, di esigere che la politica in fatto di legalità sia “intransigente”.

Sul Csm è invece Bersani e il suo Pd a dover scegliere tra legalità e inciucio. Può imporre come rappresentanti dell’opposizione tre nomi fra i cinque avanzati da Di Pietro (nomi che onorano la giurisprudenza italiana nel mondo: Borrelli, Cordero, Zagrebelsky, Grevi, Tinti), lasciando che sia poi il Csm, senza accordi preliminari di tipo partitico, a scegliere il proprio vicepresidente. Oppure può privilegiare la solita spartizione partitocratica, due del Pd e uno del partito Casini-Cuffaro, quel Vietti che ha qualche esperienza di transumanza (garanzia di imparzialità?), oltre ad essere stato due volte sottosegretario nei governi Berlusconi e ad essere considerato il padre putativo dell’abrogazione di fatto del falso in bilancio.

Oltretutto, per compiere questa nobilissima scelta, Bersani spacca anche il partito, vista l’opposizione di oltre 40 senatori capeggiati da Ignazio Marino. In somma, il solito capolavoro che riesce ad assommare opportunismo e stupidità.

Alle 17,30 di oggi, domenica 25 luglio, le firme all’appello di Andrea Camilleri, Margherita Hack e mio (sul sito www.micromega.net) hanno superato quota diecimila. Con la mezzanotte chiudiamo la raccolta. Ma non l’impegno per ogni ulteriore pressione per rovesciare la scelta suicida dei dirigenti Pd.

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