“Ci sono tre metodi attraverso i quali raggiungere la saggezza:

Primo: la riflessione, il più nobile. Secondo: l’imitazione, il più semplice. Terzo: l’esperienza,  il più amaro”

E’ la citazione di Confucio che Yung Chang, regista cino-canadese sceglie come incipit di Up The Yangtze, un sorprendente documentario sullo scontro culturale e la cancellazione della propria storia conseguenti al miracolo economico cinese.

Il film esplora l’impatto del gigantesco progetto della diga delle Tre Gole sullo Yangtze, il fiume più lungo della Cina. Una volta completata, la diga sarà il più grande progetto idroelettrico del mondo.

La diga delle Tre Gole fu ispirata da Sun Yat-sen e poi negli anni 50, dopo una serie di alluvioni devastanti, riproposta da Mao Tse-tung. La costruzione è iniziata però solo nel 1994 e dovrebbe essere completata nel 2011, rendendola il più imponente progetto ingegneristico intrapreso dalla Cina dai tempi della Grande Muraglia.

L’opera è considerata da molti esperti come un eco-disastro in fieri, ma la splendida meditazione del regista Yung Chang è più interessata ai danni collaterali sulla popolazione: alla chiusura dei lavori circa due milioni di persone saranno state trasferite dalla zona allagata. Come spiega tra le lacrime un negoziante costretto a spostarsi dalla sua casa sul fiume, il popolo cinese prevede di sacrificare “la famiglia piccola per la grande famiglia”.

Up The Yangtze è il secondo film recente che elegge a protagonista la diga delle Tre Gole. “Still Life”, di Jia Zhangke, film di finzione molto contiguo al genere documentario, raccontava di un uomo e una donna che non si incontrano mai mentre ricercano in uno stato d’animo disperato i loro compagni a Fengjie, un paese in via di demolizione.

Up The Yangtze ambienta la gran parte del film, non senza una certa ironia, su una nave che compie un tour noto come “crociere di addio” al fiume. Molti dei turisti, ci viene detto, si aspettano di vedere la “vecchia Cina” prima che scompaia. Nel film però le sole immagini dimostrano quanto la vecchia Cina sia solo un vago ricordo. Il paesaggio è in effetti spettacolare ma allo stesso tempo una nebbia giallastra sull’acqua del fiume Azzurro sembra alludere a gravi problemi di inquinamento. Negli scorci delle città ciò che rimane della vecchia Cina viene nascosto dal glitter della modernità. Quello che emerge è insomma un paese in preda a uno sviluppo economico galoppante ma anche ad una omogeneizzazione globale. Chang sembra sempre trovare gli ossimori perfetti per mostrarcelo: un annuncio Lancome accanto a una bandiera cinese, il lusso della nave opposto a una capanna illuminata solo da candele.

Up The Yangtze ci offre una visione della vita a bordo della nave, popolata da benestanti-turisti occidentali e da un personale cinese che viene minuziosamente formato su un’etichetta di comportamento: non paragonare il Canada agli Stati Uniti, non parlare di politica, non chiamare nessuno vecchio, pallido o grasso (usare piuttosto “in carne”).

Il film ha come protagonisti due giovani, parte del personale della nave. Yu Shui, figlia sedicenne di contadini analfabeti che vivono in una baracca in riva al fiume, è una lavapiatti infelice, cupa e con la nostalgia di casa. In pieno shock culturale Yu Shui si ritrova in un mix sconosciuto di lavoro, clienti occidentali ed etica aziendale. Come gli altri dipendenti le viene assegnato un nome anglosassone: Cindy. Nel frattempo i suoi genitori, che sono costretti a lasciare la riva del fiume dove sono sinora sopravvissuti coltivando ortaggi e di pesca, sono mostrati in un’indimenticabile sequenza mentre portano via a spalla i loro pochi mobili su per il greto del fiume.

Chen Bo Yu, ribattezzato Jerry, arrogante e bello, è figlio della classe media. E’ un esempio di “piccolo imperatore”, effetto collaterale della politica cinese del figlio unico. Poco dopo aver iniziato a lavorare riceve le prime mance (” Non hai fatto nulla e ti hanno dato 30 dollari!” dice un collega a “Jerry”. “Sono fuori di testa!”). Jerry diventa sempre piu avido e calcolatore – non aiuta gli anziani, dice, perché “sono sempre i più poveri”.

Mentre chiacchiera con due adolescenti occidentali, appare solo ansioso di far dimenticare la sua identità nazionale e guadagnare rapidamente più denaro possibile.

E intanto l’acqua continua a salire. Mentre  la osserviamo ingoiare sempre di più il paesaggio, si fa strada in noi un senso di inquietudine per una società che, avendo forse scelto l’esperienza tra i tre metodi confuciani, rischia di cambiare troppo in fretta nella sua corsa verso un futuro sconosciuto.

Qui una clip del film e un’intervista con Yung Chang

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