C’è in Italia un modo di fare banca in cui le relazioni e la politica contano più che i bilanci e il mercato. È uno stile cresciuto nel ventre molle della Roma democristiana e papalina, con gli istituti di credito usati, più che per fare finanza, per mettere insieme amici fidati e far loro realizzare operazioni sicure. E per finanziare i partiti e i loro giornali, generosamente e in modo ecumenico, con una mano a destra e un’altra a sinistra. Erano comportamenti molto in voga ai bei tempi della prima Repubblica. Un’era tramontata. Ma non senza che qualche protagonista, più abile o più fortunato di tanti altri, sia riuscito a vincere tutte le insidie, a superare tutti gli ostacoli trovati sul suo percorso, arrivando felicemente fino all’oggi.

Prima repubblica. Se c’è un uomo che incarna la storia italiana dei rapporti tra finanza e politica, quell’uomo è Cesare Geronzi, che dopo essere cresciuto nella Roma andreottiana della Prima Repubblica, è riuscito a fare il miracolo di saltare da Roma e Milano, planando al vertice di Mediobanca. Da lì è infine approdato a Trieste, a guidare le Generali, la seconda compagnia assicurativa d’Europa.
Il suo lungo cammino non è stato indenne da cadute. Incidenti di percorso, effetti collaterali: inchieste e processi. Il percorso a ostacoli di Cesare il banchiere comincia con il crac Federconsorzi. Il colosso agricolo della Prima Repubblica crolla sotto il peso di debiti per oltre 4 mila miliardi di lire. Il suo patrimonio, all’inizio degli anni Novanta, viene allora venduto per fare cassa. Per 2.150 miliardi: un affarone, ma solo per i compratori, perché secondo la magistratura, che subito apre un’inchiesta, quel patrimonio ne valeva almeno 4.800, di miliardi.

Crac e condanne. Finiscono sotto processo i registi dell’operazione, e cioè gli uomini che stavano allora facendo nascere il gruppo della Banca di Roma. Tra questi, il presidente Cesare Geronzi. Nel 2000, il processo arriva al capolinea: Geronzi è prosciolto, “per non aver commesso il fatto”.
Quando invece collassa il gruppo Italcase-Bagaglino, gli amministratori della Banca di Roma, come quelli della Banca agricola mantovana e della Bnl, vengono accusati dai magistrati di Brescia di aver imposto nel 1998 una ristrutturazione che non teneva conto del reale stato del gruppo, già a un passo dal crac. In primo grado, nel 2006, Geronzi viene condannato a un anno e otto mesi per bancarotta preferenziale. In appello, nel maggio 2009, conquista l’assoluzione, “per non aver commesso il fatto”.

Parmalat. Intanto il banchiere era rimasto coinvolto anche nel crac Parmalat. Accusato di aver costretto Calisto Tanzi a comprare (a prezzi gonfiati) la Eurolat del suo amico Sergio Cragnotti. Il processo viene trasferito da Parma a Roma, perché nella capitale si sarebbe consumato il reato più grave, l’estorsione. La vicenda si chiude nel marzo scorso: il giudice dell’udienza preliminare non trova elementi sufficienti per rinviare a giudizio Geronzi con l’accusa di estorsione e lo proscioglie.
Resta però ancora aperta la vicenda del fallimento di Eurolat, in cui a Geronzi è contestato il reato di bancarotta. Il gip di Roma ha inviato gli atti alla Corte di cassazione perchè stabilisca se la competenza a decidere spetti al tribunale di Roma o a quello di Parma, che in passato si era già dichiarato incompetente.

E Bond Cirio. Sulla testa di Geronzi restano poi pendenti altre grane giudiziarie. È accusato di aver collocato con estrema leggerezza – almeno secondo i risparmiatori che si ritengono truffati – i bond di una Cirio già in crisi da tempo e poi naufragata nel crac. Certo ha alleggerito i problemi della banca, ma trasferendo il peso dell’insolvenza sui suoi incauti clienti. Ed è accusato, nel processo di Parma per il crac Parmalat, di usura aggravata e concorso in bancarotta fraudolenta: secondo l’accusa, avrebbe costretto Tanzi, che già aveva tanti problemi, a comprare, finanziato oltretutto a tassi da usura, anche la Ciappazzi, la società di acque minerali di un altro amico di Geronzi, Giuseppe Ciarrapico. Ecco perché non sarebbe sgradito, per alleggerire i problemi del banchiere che si è fatto principe degli assicuratori, anche qualche aiutino in Parlamento.

da il Fatto Quotidiano del 16 luglio 2010

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