Ora ne parlano tutti, dell’Aquila. Tutti, o quasi. E ci volevano le manganellate a Roma, perché se ne parlasse.
Con ricostruzioni ufficiose o ufficiali che dicono che la manifestazione non fosse autorizzata per un numero così grande di persone (cosa che ha dell’incredibile, no?), o ancora che c’erano nel corteo estranei ai paesi del cratere sismico o chissà cos’altro.

Ma il punto è un altro. Il punto è che i manganelli che calano sui manifestanti aquilani sono solo l’ultima delle violenze. Perché è violenza, impedire a una popolazione di riprendere in mano la propria vita senza chiarezza sulle misure future (le tasse, per esempio).

Perché è violenza raccontare all’italia del miracolo aquilano, quando dovrebbe essere ben noto che una catastrofe è risolta solo quando sono finite le sue conseguenze sociali.

Perché è violenza imporre un modello di controllo dei terremotati sul territorio durante un’emergenze, ed è violenza imporre un modello di costruzione – per pochi, in comodato d’uso, ma con consumo permanente del territorio – dall’alto, agendo per sostituzione e non per sussidiarietà.

Ora, forse, alcuni penseranno, ancora una volta, che gli aquilani sono ingrati. Altri invece cominceranno a considerare tutta questa violenza come un esempio, un paradigma di come si possa agire in emergenza.

Disastri immani smuovono capitali immani. Il controllo dell’informazione che scrive pagine agiografiche e celebrative rende difficile o impedisce addirittura la critica.

Forse, perché in molti aprano gli occhi, ci volevano proprio le manganellate.

(Foto di Patrizio Migliarini)

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