Chissà cosa direbbero i cittadini finlandesi se sapessero cosa accade in quel bizzarro Paese dell’Europa meridionale che, in preda a una crisi di autolesionismo acuto, ha deciso di privarsi dei benefici del dividendo. Probabilmente penserebbero di aver capito male. Perché una storia come quella italiana appare già di per sé ridicola a chi abita entro i confini nazionali, figuriamoci per una nazione che ha ufficialmente definito Internet un diritto fondamentale. Ciascun individuo, ha stabilito il Parlamento, deve poter accedere alla rete sfruttando nel modo più efficiente la tecnologia disponibile. E’ un obiettivo chiaro e comprensibile al resto del Continente, che pure non ha legiferato sul principio limitandosi a farsi guidare dal semplice buon senso. Le frequenze liberate dal progresso tecnologico vanno ridistribuite per colmare il divario digitale. E garantire i diritti dei cittadini. La Finlandia, ha ricordato la Global mobile suppliers association, destinerà ai servizi a banda larga le frequenze 790-862 MHz. Francia, Germania, Norvegia, Svezia e Svizzera hanno confermato le medesime intenzioni.

L’opportunità è ghiotta ma la vicenda, come noto, non si esaurisce qui. Diritti e progresso a parte, infatti, quella del dividendo resta soprattutto una storia di denaro, lo stesso denaro cui l’Italia preferisce rinunciare in nome di interessi “ad televisionem”. Il mercato vale molto, anzi moltissimo, soprattutto alla luce della probabile fame di frequenze che caratterizzerà i prossimi anni. Thomas W. Hazlett, docente presso la George Mason University, ha tentato di quantificare il valore complessivo delle frequenze disponibili negli Stati Uniti. Se il governo mettesse in vendita l’intero spettro, ha sostenuto, potrebbe ricavare almeno 100 miliardi di dollari generando nel mercato un successivo giro d’affari capace di valere anche dieci volte tanto. Certo, qui siamo solo al livello delle ipotesi ma tanto basta per avere un’idea delle potenzialità del contesto attuale. Potenzialità, ovviamente, che possono essere sfruttate a pieno attraverso l’unico sistema possibile per massimizzare i ricavi delle concessioni: l’asta. Negli Usa la Federal Communications Commission ha già condotto in passato una maxi auction sui 700 MHz ricavando una cifra superiore al totale rastrellato da tutte le aste condotte nei precedenti 15 anni: allo Stato sono andati circa 19,6 miliardi, più o meno il doppio di quanto inizialmente previsto.

Gli affari si annunciano allettanti un po’ ovunque e i governi si muovono con anticipo. L’Australian Communications and Media Authority metterà a disposizione le frequenze entro il 2013 ma l’organizzazione dell’asta è in discussione già adesso. Il dibattito sulle potenzialità dell’affare si è già ritagliato uno spazio privilegiato nelle agende dei governi. Se ne discute, insomma, un po’ ovunque: dall’Indonesia ai Caraibi passando per l’Africa. A febbraio lo Swaziland ha ospitato il vertice della South African Development Community. Tema dell’incontro, manco a dirlo, la riallocazione della banda larga entro l’anno 2014.

E in Europa? Chi offre di più? I tedeschi lo hanno già scoperto completando per primi l’asta sulle concessioni. T-Mobile, Vodafone e O2 hanno messo le mani sullo spettro ma la conquista non è stata “agevole”. Per avere ragione della concorrenza sono stati necessari 224 rilanci. Ricavo finale per la Bundesrepublik: 4,38 miliardi di euro. Nel resto d’Europa la Danimarca ha già seguito l’esempio della Germania mentre altri Paesi (Svizzera, Norvegia, Svezia, Olanda, Francia, Irlanda, Austria e Polonia) sono pronti a completare l’opera nel corso dell’anno, o nelle ipotesi peggiori, entro l’inizio del 2011. All’incirca il medesimo periodo per il previsto completamento dell’asta da parte del Regno Unito, già reduce da diversi intoppi procedurali e legali. Ma lì, è bene ricordarlo, il definitivo spegnimento del segnale analogico avverrà solo nel 2012, come l’Italia che però, a differenza degli altri paesi, resta a guardare.

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