Questa locuzione, viepiù alla moda, per alcuni rappresenta un ossimoro e per altri un affare di milioni. Nel mio ultimo viaggio negli Stati Uniti sono stato coinvolto, ancora una volta, in una discussione (perlopiù verbosa e terminologica), sul significato di “vino naturale”. Eric Asimov, collega del New York Times, ha poi tentato una spiegazione: «vino naturale significa una viticoltura che si sforza di non adoperare fungicidi, pesticidi o erbicidi. Significa arare la terra e vendemmiare a mano grappoli cui non è stata data anidride solforosa per non annichilare i lieviti endogeni. Significa quindi fermentare il vino con lieviti spontanei anziché aggiunti. Non aggiungere al mosto o al vino nemmeno zucchero, enzimi, acidi, tannini, acqua. Usare quanto meno anidride solforosa possibile come antiossidante e conservante. Disapprovare pratiche quale l’osmosi inversa, la microssigenazione, i concentratori e altre derive tecnologiche… Fra i produttori di “vino naturale” la diatriba è infinita: c’è chi è contrario anche al controllo della temperatura di fermentazione con macchinari di refrigerazione; chi vorrebbe continuare a pressare le uve soltanto coi piedi; chi aborrisce qualunque filtrazione o l’irrigazione delle vigne… Ma possiamo semplificare: vino naturale significa non usare veleni in vigna, limitando l’uso di zolfo e rame, che sono comunque ammessi dalla viticoltura organica. Significa non aggiungere o togliere nulla al mosto e al vino, in cantina. Che si usi un poco di anidride solforosa come stabilizzante è consuetudine… anche se ci sono grandi produttori che non la usano».

“Naturale” è dunque un concetto per niente pacifico; e chi pensa di identificarlo con “biologico” o “organico”, non può trascurare che ciò differisce dal “naturale biodinamico”. Fino ad oggi è stata riconosciuta una certificazione soltanto per le uve prodotte da agricoltura biologica (per la viticoltura) e non per i vini biologici (non per la vinificazione). Pare chiara la differenza fra un filare di vigna inerbito, frequentato da lombrichi o api, ed un filare privo di vita biologica, frequentato da diserbanti o fertilizzanti.

Meno chiaro è quello che dovrebbe essere certificato in cantina: infatti, una quindicina di giorni fa, la Commissione europea non è riuscita ad approvare una regolamentazione della vinificazione biologica, in quanto “le mediazioni proposte dagli Stati membri avrebbero portato troppo lontano dal concetto di biologico”, ha commentato il portavoce del Commissario all’Agricoltura.

Conviene tornare alle origini, documentate, della locuzione “vino naturale”: il Codice di Diritto Canonico (Can.924 – §3). Esso indica che il vino da messa debba essere “naturale, del frutto della vite e non alterato (corruptum in latino)”. Tale definizione è stata dibattuta da un gruppo di studiosi, fra cui uno dei più noti e riconosciuti esperti di viticultura al mondo, il Professor Mario Fregoni: «Il corruptum della definizione latina di vino naturale» afferma il professore «indica un vino privo di difetti quale lo spunto, l’acescenza etc… Non ha senso stimare innaturale l’aggiunta di anidride solforosa, lo zolfo è presente nell’uva e la solforosa viene prodotta dai lieviti di fermentazione… Come non ha senso pretendere che sia innaturale l’aggiunta di lieviti selezionati, e magari selezionati proprio nella vigna del produttore, dunque autoctoni. Più delicata è la questione dei lieviti OGM, che comunque per me potranno considerarsi adatti alla produzione di vini naturali… Perciò gli champagne, come pure i vini liquorosi (con aggiunta di alcol vinico o meglio viticolo) sono annoverabili fra i vini naturali. In realtà, è da ritenersi innaturale tutto ciò che è impertinente ed estraneo alla composizione primaria dell’uva, al profilo unico dell’ecosistema viticolo. Ma sarebbe più opportuno considerare la questione diversamente, cioè ponendo in risalto le pratiche ammissibili nella vinificazione e viticoltura di qualità. Essa non ha parentela con l’industria dei vini incolori, insapori, inodori».

In conclusione, la locuzione “vino naturale” resta ambigua e talora indigesta (seppur ben ruminata), almeno sotto un aspetto squisitamente semantico.

È indubbio che ci siano vini di qualità sia buoni che cattivi, è dubbio quali andranno all’inferno.

Ps: non di rado le discussioni sul vino naturale sono infarcite di argomentazioni secolari che confinano con quelle del panteismo, giusnaturalismo, dionisismo, gnosticismo e sconfinano nella Qabbalà o nella mistica ebraica

Articolo Precedente

La cultura della dispensa (terza parte)

next
Articolo Successivo

Sex and the City

next