È persino difficile dire se la confusione, fra ruoli politici e ruoli istituzionali, regni sovrana. Per Berlusconi, che non riconosce l’esistenza né degli uni (lui non è un politico, ma un impresario) né degli altri (delle istituzioni non ha la minima idea), tutto è personale, qualche volta, poche, però, è anche privato. Lui è un ultra sessantottino: “il personale è politico”. Dunque, viene molto disturbato quando gli fanno notare che i ministri e i sottosegretari non debbono farsi gli affari loro, cosa di cui è accusato persino il presidente del Consiglio (ma, insomma, loro non sono mica al suo livello), esistendo, già dai Romani (no, non quelli di “Roma ladrona”), qualcosa che si chiama res publica, la cosa pubblica, alla protezione e promozione della quale è dovere degli eletti provvedere. La sfida di Fini non è soltanto sulle regole del gioco e sul rispetto delle istituzioni. Qualche volta, del tutto inopinatamente per Berlusconi e per coloro che, attorno a lui, hanno dimenticato o non hanno mai saputo che esiste anche un regime che si chiama democratico, è sulla necessità di passare dal potere cesaristico al potere legale-razionale, che osserva le regole, non vuole stravolgerle, fa riforme per migliorarne il funzionamento che Fini insiste. La sua è una sfida insidiosa, ma largamente, non sorprendentemente, minoritaria. Per parafrasare il Presidente della Camera, viene portata avanti con un “puntiglio” agli occhi di Berlusconi, di Cicchitto e di Gasparri, “irragionevole”. Hanno ragione loro. Chi conta i numeri (e i sondaggi), esercizio nel quale il Presidente impresario non da oggi primeggia senza rivali, non può che chiedersi se Fini sa dove vuole andare, ma soprattutto quando. Nei tempi brevi, nessuna possibilità di vittoria esiste per Fini. Anzi, il rischio è che Fini si trovi senza potere istituzionale e quindi con un potere politico molto ridotto, ai limiti dell’irrilevanza. La sua sfida rimane molto irritante per Berlusconi poiché segnala che non tutti nel suo stesso schieramento lo apprezzano e l’amano. La percepisce come una sfida né politica né istituzionale, ma personale. Qualcuno potrebbe, se non alleviargli il dolore, almeno farglielo temporaneamente dimenticare, portando alla sua attenzione gli sgretolamenti nella compagine di governo.

Nell’ignominia se ne è andato il Ministro per lo Sviluppo Economico e nessuno degli industriali che, pure, continuano a preferire il governo Berlusconi a qualsiasi alternativa, ha accettato l’offerta, non del tutto estemporanea, a sostituirlo. La manovra per ridurre le spese si fa; quella per rilanciare lo sviluppo manca persino del responsabile. La cricca intorno alla Protezione Civile, compresi coloro che avevano altri compiti istituzionali, vale a dire la Propaganda della Fide, ha prodotto una nube di corruzione non facilmente diradabile. Un’altra nube circonda quell’”impedito” del neo-Ministro Brancher, non si sa da chi voluto, non si capisce da chi puntellato, non si riesce neanche a conoscere per quali compiti. Ma ad una leadership fortemente e deliberatamente personalizzata, quella di Berlusconi e di Bossi, nulla di questo importa. Quello che conta è la fedeltà, passata e futura, del prescelto. Qualcosa scricchiola quando l’attenzione dei commentatori si concentra sulle cose promesse e non fatte, neppure iniziate. Lasciamo perdere il “liberalismo”. Ma chi può credere, tranne Piero Ostellino, che un impresario duopolista immerso nel suo conflitto di interessi abbia una qualsiasi intenzione e capacità di iniziare e praticare politiche di liberalizzazione e di concorrenza e lo faccia con l’appoggio di industriali spesso assistiti, ovviamente dallo Stato? Il massimo del liberalismo del Presidente impresario consiste, perché è la misura più semplice, nel ridurre le tasse, anzi, con due colpi, di accetta e di teatro, nel tagliare l’ICI. Intorno a lui, ma evidentemente da lui compresi e condivisi, si agitano i liberalizza tori dei condoni: “più condoni per tutto e per tutti”, alla faccia delle regole e della credibilità dello Stato. Comunque, un po’ di consenso lo si conquista e consolida proprio condonando periodicamente.

Qualcuno pensa o spera o si illude che con una sfida interna (Fini), con gli scricchiolii dei ministri che se ne vanno e dei sottosegretari che non se ne vanno, con il macigno delle politiche non fatte, il governo sia già arrivato al capolinea. I numeri dicono altro, da un lato, sulla notevole popolarità del Presidente del Consiglio; dall’altro, sulla persistente debolezza dell’opposizione. Oltre ai numeri, però, Berlusconi (anche grazie all’on. Avv. Ghedini) intuisce che ci sono almeno due seri “inconvenienti” poco sensibili ai numeri, molto attenti alle regole: il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale. Cerca di lavorarli ai fianchi, ma entrambi, per diverse buone ragioni, resistono; anzi, reagiscono. Di qui, la tentazione dello show down: cogliere il momento migliore, che non è ancora in vista, per andare allo scioglimento anticipato del Parlamento, magari qualora le toghe rosse della Corte dovessero bocciare un disegno di legge importante (intercettazioni?) o una riforma costituzionale (scudo per tutti i ministri?). Nel frattempo, non resta che soffrire, lui nell’inferno della Costituzione, noi, cittadini italiani, nella dolorosa irritazione quotidiana di essere governati peggio di quel che meritiamo e di essere offesi e persino vituperati da una cricca senza senso civico e senza vergogna.

Gianfranco Pasquino

Da Il Fatto Quotidiano del 2 luglio 2010

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