Avevano trovato un improvviso accordo per far desistere Silvio Berlusconi sulle intercettazioni, ma dopo Pontida l’asse Bossi-Fini è di nuovo andato in frantumi. La maggioranza va ancora in ordine sparso alla vigilia di un vertice decisivo a Palazzo Grazioli su manovra ed emendamenti sulle intercettazioni. Mentre si tenta di trovare una quadra tra finiani e berluscones sui punti da smussare del ddl intercettazioni, in verità senza risultati apprezzabili, è proprio il presidente della Camera a riacutizzare lo scontro interno con un attacco frontale alla Lega dopo le parole di Bossi sulle ennesime minacce di secessione: “La Padania non esiste – ha detto Gianfranco Fini – è solo una felice invenzione propagandistica, bisogna contrastare la goliardia della Lega che mette a rischio la coesione nazionale”. E la migliore risposta alle affermazioni degli uomini del Carroccio, sempre a parere della terza carica dello Stato, è mettere in atto “un’azione culturale e pedagogica per riaffermare cosa s’intenda per nazione; essere italiani significa riconoscersi in alcuni valori non trattabili che sono alla base dell’identità di un popolo”. Gli ha risposto Roberto Calderoli, prendendolo palesemente in giro: “C’è chi lavora per realizzare il federalismo, e conseguentemente la coesione, e chi invece si dedica alla filosofia…”. Fini e Bossi, dunque, di nuovo ai ferri corti. E Berlusconi sempre più solo dentro la sua maggioranza che perde i pezzi. Il vertice di oggi sarà dunque decisivo per testare la reale tenuta della maggioranza sui fronti più caldi e i sussurri della vigilia non promettono nulla di buono. Sul fronte delle intercettazioni, infatti, Berlusconi sarebbe pronto a discutere su un’eventuale proroga dei tempi degli ascolti da 72 ore a una settimana, così come ci sarebbe un mezzo via libera per il ripristino dei cosiddetti “reati spia” e sulle registrazioni ambientali (emendamento D’Addario), mentre resta il muro sulla questione delle multe agli editori su cui, invece, Fini, non transige in nessun modo e vuole che sia modificato. Rischia, quindi, di finire molto male la riunione di oggi a casa di Silvio. Vista la situazione di estrema tensione, ieri la conferenza dei capigruppo non ha calendarizzato per l’aula di Montecitorio né la manovra economica, né il ddl intercettazioni, rimandando a mercoledì 30 giugno ogni decisione in merito ai tempi di discussione delle due “massime piorità” del governo. A parere di Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati Pdl, la legge sulle intercettazioni “non verrà affatto stravolta, anzi ci saranno delle sorprese”. Quello che temono i finiani è che alla fine il governo faccia una prova di forza per arrivare ad uno show down dalle conseguenze difficilmente immaginabili, come un voto di fiducia in extremis con un maxiemendamento che ripristini il testo uscito dal Senato, ma per il momento sono solo incubi notturni di qualche ex aennino garantista. E del Pd che, non a caso, ha chiesto che le modifiche vengano fatte “in Parlamento, alla luce del sole”. Sono in parecchi, tuttavia, quelli che hanno sentito il Cavaliere ripetere che “non è possibile che cinque persone ne blocchino 300” e che “questa situazione di stallo non può continuare a lungo”. Si parla, non più sommessamente ormai, di possibili elezioni anticipate in primavera, dopo il varo della manovra e subito dopo che il Senato avrà dato il definitivo via libera, in quarta lettura, al ddl intercettazioni. Nessun binario morto per la legge; Berlusconi ne fa ormai una questione di principio, anche se Gianni Letta gli ha detto chiaramente che senza le “adeguate modifiche” volute dal Quirinale, Napolitano la legge non la firmerà mai.Oggi a pranzo, a Palazzo Grazioli, andrà in scena la battaglia finale. Tutta dentro la maggioranza.

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