Lea Garofalo non era protetta, forse rapita e uccisa dalla ‘ndrangheta

Aveva parlato troppo. Aveva fatto i nomi degli assassini del fratello, forse anche quelli dei due picciotti che il 5 maggio scorso avevano tentato di rapirla. Per questo è scomparsa, forse rapita, forse uccisa, Lea Garofalo, calabrese di Petilia Policastro (Krotone).
I carabinieri di Campobasso, la città dove la donna viveva temono che sia stata uccisa, quelli di Milano, dove era scappata con sua figlia, la cercano, ma sospettano un caso di lupara bianca.

Il suo paese è da anni teatro di una spietata guerra di mafia tra le famiglie dei Garofalo e dei Mirabelli. Lea è la sorella di Floriano Garofalo, ucciso in un agguato l’8 giugno del 2005 nella frazione Pagliarelle, e nel 2005 era diventata una testimone di giustizia.

Già il giorno dopo l’omicidio del fratello Floriano, la giovane donna aveva iniziato a collaborare con la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, le sue dichiarazioni erano state ritenute utili alle indagini, ma la proposta di sottoporla ad un programma definitivo, avanzata dalla Dda di Catanzaro era stata respinta dalla Commissione centrale del Ministero dell’Interno.

Singolare la motivazione del no: le dichiarazioni della donna “non avevano avuto, fino a quel momento, autonomo sbocco processuale e gli elementi informativi raccolti erano insufficienti circa l’attendibilità, l’importanza e la rilevanza del contributo offerto”.

La Commissione, inoltre, negava anche l’importanza dell’uccisione del fratello “ritenendola dovuta a fatti estranei alla sua collaborazione”. Lea Garofalo si è rivolta prima al Tar del Lazio che nel dicembre 2006 ha respinto il suo ricorso, poi al Consiglio di Stato. Qui ha visto riconosciute le sue ragioni ed ha avuto la conferma della situazione di pericolo in cui versava.

“Non è pensabile che il collaboratore possa essere lasciato senza tutele di fronte alla malavita organizzata”, ha affermato il Consiglio di Stato. Suo fratello Floriano Garofalo, 40 anni, era ritenuto il capo dei una cosca attiva a Pagliarelle, venne massacrato con tre colpi di fucile.

Nel 2003 era stato coinvolto in un blitz dell’antimafia perché sospettato di essere il canale di rifornimento di droga per la cosca di Nicolino Grande Arachi, ma era stato assolto. Intanto i carabinieri di Campobasso hanno arrestato in Calabria Carlo Cosco, ex convivente della donna. E’ accusato di essere il mandante del tentativo di sequestro di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia lasciata sola dallo Stato.

da il Fatto Quotidiano del 7 febbraio
 

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