Di Pietro, rabbia e ironia sulle accuse di spionaggio

“Senta, ma allora lo scriva… Se tutto questo è vero, se sono questo formidabile spione, vissuto in incognito per trent’anni, ma allora io sono il più grande agente segreto del Ventesimo secolo. Io non sono Mata Hari, sono Bond, James Tonino Bond!”.

Ironico, sarcastico, ma anche terribilmente incazzato. Letteralmente, incazzato. Antonio Di Pietro ieri, era un fiume in piena. Il Corriere della Sera pubblica in prima pagina la foto di un pranzo del 1992 in cui lui compare – in un pranzo, in una tavola di sei persone, al fianco di Bruno Contrada, uno dei più famosi 007 italiani? Di un ufficiale – all’epoca numero tre del Sisde – che sarà arrestato solo nove giorni? La notizia diventa deflagrante perché si lega alle voci che circolano da anni, quella secondo cui l’ex pm avrebbe una seconda vita. Agente segreto, secondo qualcuno, addirittura uno degli uomini della Cia in Italia secondo una (auto)denuncia fatta dallo stesso Di Pietro: “Vogliono incastrarmi”. Insomma, in questo clima, e nell’umore in cui si trova, Di Pietro accetta di spiegare la sua verità e di ribattere, uno per uno, a tutti gli addebiti che gli fa uno dei suoi principali biografi (e critici) il giornalista Filippo Facci.

Onorevole Di Pietro, quando lei ha visto Il Corriere…

“Sono fuori dalla grazia di Dio”.

Vorrei farle un piccolo interrogatorio…

“Allora, se permette, le do qualche consiglio”.

Vorrei chiederle…

“Alt! Se è un interrogatorio, prima di iniziare mettiamo a verbale”.

Che cosa? Non le ho ancora chiesto nulla.

“Questo Di Domenico, ovvero l’uomo che Il Corriere considera attendibile a sostegno delle tesi fantastiche secondo cui io sarei un agente segreto, è un uomo che ha ricevuto ben 18 provvedimenti di diffida da parte dell’autorità giudiziaria! Diciotto, ha capito?”.

E cosa dicono questi provvedimenti?

“Che si tratta, cito testualmente, e le mando pure il fax, di un grafomane di pro-fes-sio-ne!”.

Lei lo ha denunciato?

“Denunciato? Gli hanno persino venduto all’asta la casa per pagare le spese processuali? Io le chiedo perché secondo lei il Corriere abbia fatto ricorso a una fonte così screditata”.

Lei stesso, però, ha preannunciato l’arrivo di queste accuse. Perché?

“Sì, perché sapevo che stava arrivando della spazzatura. Se dico che stanno arrivando dei veleni, mica questo significa che ci sia un qualche fondamento”.

I giornali pubblicano le notizie quando le valutano come tali.

“E allora io domando, pubblicamente. Quali sono le ragioni che spingono, ora, il Corriere della Sera, ad attingere a leggende metropolitane e testimonianze di gente screditata?”.

Cosa vuol dire?

“Che mi colpiscono a freddo. E che c’è un burattinaio che cura questa regìa”.

Non vorrà dire che De Bortoli è un burattinaio, non ci crede nemmeno lei.

“Allora c’è qualcuno che strumentalizza De Bortoli e Il Corriere contro di me, chiaro? Non è che sono obbligati a mettere in pagina tutto quello che passa”.

Quale sarebbe il movente?

“Si cerca di demolire politicamente e pubblicamente un soggetto non conforme ai poteri dominanti”.

Cioè lei.

“Mi scusi. Io giudico quello che leggo”.

Cosa intende dire?

“Ieri, sulla prima del Corriere della Sera, non si poteva leggere la notizia di Massimo Ciancimino, che racconta: la mafia investì i suoi soldi a Milano 2. Però c’era una mia foto del Natale del 1992, accompagnata da un pezzo che prova ad accreditare il tentativo di demolizione. Non c’era notizia, ha capito! Solo allusioni”.

Parliamo di questa benedetta foto, allora.

“Certo, non ho nulla da nascondere. Non ero mica in un bordello, circondato da veline, sa?”.

E dove si trovava, se lo ricorda?

“Ohhhh…. In una caserma dei carabinieri! Ha capito?”.

Ricorda i dettagli di quel giorno?

“Certo. Mi invitò il colonnello Tommaso Vitaliano, che oggi è uno stimato generale, non un latitante”.

E l’occasione quale era?

“Un evento tipico della Spectre… La cena degli auguri di Natale, con i suoi ufficiali”.

Nove giorni prima dell’arresto di Contrada.

“Esatto. Certo. Il problema, semmai, sarebbe se fosse stato nove giorni dopo! Che dice?”.

A quel tavolo è stato riconosciuto e identificato anche un agente della Kroll, agenzia legata ai servizi americani.

“Ho letto. Embè?”.

Le risulta?

“Senta, se lei vedesse tutti gli altri scatti, scoprirebbe che eravamo quasi cento, forse ottanta. Se le dico che con questo signore non credo di aver scambiato una parola mi crede?”.

Eravate il tavolo d’onore?

“Sì, ero al tavolo con quello che per me, e per tutti, era il questore Contrada. Ma se anche avessi parlato con il signore della Kroll, non ci sarebbe niente da dirmi: non avevamo fatto nulla di male, né io né lui. Sarebbe un problema se fossi stato a una tavolata con Riina! Ma che paese è diventato, l’Italia”.

Senta, Di Pietro, tutto questo diventa singolare perché lei stesso denuncia il tentativo di darle della spia.

“C’era anche il colonnello Del Vecchio…c’erano ufficiali, sottufficiali, non era mica la mensa del Kgb. E nemmeno eravamo in un gradevole incontro di escort“.

Dicono che ci sono altre foto.

“Bene. Se me ne danno copia, le metto tutte sul sito e le commento una ad una”.

Tutto inizia dal fatto che lei si laurea bruciando le tappe…

“Lo conosco il teorema. Dicono: Di Pietro è stato aiutato, infiltrato, favorito per oscuri disegni. Mavvia”.

Facci scrive: lavorava, amministrava i condomini, e poi riesce a dare 32 esami in 21 mesi.

“Embè? Ma lo sanno come funziona l’università? Io ho seguito il piano di studi del corso di laurea, punto. Ci ho messo quattro anni esatti”.

I conti non tornano. O sbaglia lui, o sbaglia lei.

“Tornano, tornano… Non è che uno dà gli esami il primo giorno. La sessione dura sei mesi, a volte un anno… Mi sono fatto un mazzo così. Altro che titolo regalato!”.

Solo un anno prima era in Germania, a “lucidare mestoli”, come scrive Facci. Poi torna in Italia e trova posto in una ditta legata al ministero della Difesa…

“Questa la devo raccontare. Ero uscito da scuola perito elettronico, specialista in comunicazioni…”.

Codici segreti?

“Mavaàà… Ha presente la famosa scuola Radio Elettra? L’unico codice con cui avevo dimestichezza era il molisano di Montenero di Bisaccia”.

Insomma, lei fa un concorso.

“E mentre ero lì in Germania, a faticare, mi arriva una lettera di mia madre. Ci sono 2000 concorrenti, 36 posti…”.

Ma ricorda tutto così bene?

“Mi sono andato a rivedere le carte. Insomma, io come arrivo? Ultimo! E quindi non scelgo la sede. Niente Roma, mi mandano a Milano, prima legione aerea”.

A contatto con il servizio segreto dell’esercito in un sito militare, dicono…

“Ah, ah, ah…lo sa cosa facevo? Il magazziniere. E poi l’ispettore”.

Ah, attività inquirente.

“Sì, certo. Il mio lavoro era verificare come e se, erano stati montati i pezzi che venivano caricati sulle bolle”.

Altra leggenda metropolitana che lei non ha mai smentito: Di Pietro era nella scorta di Dalla Chiesa.

“Ma per l’amor di dio! Ma quando, nel 1972? Nel 1973? Appena uscito da scuola? Magari”.

Quindi non è vero?

“Ma scusi, io mi metterei una medaglia al petto di essere stato al fianco, o di aver servito un uomo come Dalla Chiesa. Purtroppo non è vero, perché allora mi prenderei volentieri anche l’accusa di essere spione”.

Insomma: laurea normale. Facci ha trovato una testimone secondo cui lei vendeva anche gli appunti.

“Questa è una grande cazzata”.

Lo faceva anche Berlusconi.

“Guardi, se qualcuno capiva la mia grafia e il mio metodo glieli davo pure gratis. Ma questo cosa dimostrerebbe? Che facevo gli appunti per darmi una copertura? Ah, ah, ah…”.

Quindi nessun aiuto o aiutino.

“Ho fatto un sacco di cose di cui vado orgoglioso, mica solo quelle! Ho studiato di giorno e di notte, ho lavorato, ho vinto un concorso da segretario comunale prima, da magistrato poi. Altro che Cia, altro che Kgb. Un bel percorso per un contadinotto che già allora bisticciava con l’italiano”.

E poi c’è la famosa spedizione alle Seychelles, in cui lei da magistrato, va a caccia di latitanti…

“Quella è la ciliegina sulla torta. Siccome al film mancava Ursula Andress…ecco che vado a fare le operazioni sullo scenario di mare, con Ursula Andress al seguito. Ma questo, se non fosse tragico sarebbe uno scherzo”.

Quindi?

“Sa che le dico? Prima querelo tutti. Poi, prendo le carte processuali e ci faccio altri soldi”.

Come?

“Bè, appena leggono questo popò di romanzo, quelli ci fanno sopra un film. Gliel’ho detto, don Tonino Bond. Nel mio ruolo ci voglio Scamarcio“.

Da il Fatto Quotidiano del 3 febbraio

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