Ad Auschwitz I sui muri delle baracche di alcuni blocchi sono appese delle foto segnaletiche: le foto scattate ai prigionieri al momento della loro registrazione. A un’occhiata veloce e distratta i volti dai capelli rasati sembrano tutti uguali: occhi spalancati, orecchie sporgenti, facce spaurite ed emaciate. È così che noi li ricordiamo. Eppure, a uno sguardo più attento quei volti colpiscono per la loro unicità: non solo visi scavati, ma anzi alcuni anche paffuti; non solo occhi impauriti e rassegnati, ma anche espressioni di sfida e mezzi sorrisi. Ogni volto una persona, una storia da raccontare, ma nessuno che possa stare ad ascoltare. Quegli uomini e quelle donne hanno avuto un tempo qualcuno che le pensava. Adesso forse nessuno si ricorda più di loro, se non per includerli nel numero delle vittime. I nostri sguardi passano veloci su quei visi senza che nessuno resti nella memoria. Penso che questo sia uno degli effetti più terribili del progetto nazista: privare degli uomini di tutto, dei loro averi, dei loro affetti, dell’identità, della loro vita. Privarli del diritto di essere ricordati dalle persone care.

Anna Chiara Vicini, IV A liceo scientifico PNI Sorbelli, Pavullo n/F

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