Ceccanti: "Lo statuto del Pd non dice questo"

Colpo di scena: dopo giorni di silenzi e di attese, Pier Luigi Bersani prende una posizione ufficiale sulle primarie, richieste da un capo all’altro dell’Italia, dalla Puglia all’Umbria. Le parole del segretario del Pd, in qualche modo (e malgrado lo statuto del partito sia chiaro su questo punto) producono un qualche choc e gettano acqua fredda sui sostenitori della democrazia diretta.
Dice infatti Bersani: "Le primarie non sono un vincolo ma un’opportunità". E subito dopo spiega cosa intende: "Il partito non è un notaio – precisa il leader del Pd che stila solo il regolamento delle primarie. Penso che nelle situazioni dove la destra è già in campo debba essere privilegiata l’immediatezza e l’efficienza della scelta".

Cosa vuol dire esattamente? Che le consultazioni di elettori, iscritti e simpatizzanti non vanno più considerate un vincolo (come in realtà prevede lo statuto del partito) ma come una delle ipotesi possibili. Una posizione che, come vedremo, nel Pd suscita perplessità.

Mariniani & veltroniani. Le parole del segretario, infatti, non piacciono per nulla ai dirigenti delle minoranze interne, i sostenitori della ex mozione Marino e della ex mozione Franceschini. In Puglia, a chiedere il voto non è solo Nichi Vendola, ma metà del Pd locale, e una rosa consistente del Pd nazionale. Persino la presidente del partito, Rosy Bindi (che fa parte della maggioranza bersaniana e annuncia che voterebbe Boccia) si è espressa per una consultazione degli elettori: "Non possiamo rimuovere Vendola senza un voto, se lui non accetta altre soluzioni".
In Umbria, altra regione in cui la situazione è in stallo, il principale oppositore della presidente uscente, Maria Rita Lorenzetti, è l’ex tesoriere veltroniano, Mauro Agostini.
In Calabria le primarie sono addirittura regolamentate con una legge regionale. In Campania, dove le mediazioni – per ora – sono in alto mare, sono già convocate. La mozione Marini si spinge più in là, e chiede "che sia convocata una direzione nazionale del Pd sulle candidature". E’ gelida, invece Emma Bonino: "La questione primarie, riguarda il Pd".

“Ampliare la coalizione”. Bersani però su questo (ora) sembra avere le idee chiare: "Ho detto che la Bonino è una fuoriclasse, fuori dagli stereotipi e non deve essere imbrigliata. Si è capito come la penso, nel rispetto delle scelte degli organi del partito. Per quanto riguarda la Puglia, il tema non è l’esclusione di questo o quel candidato ma le opportunità per un ampliamento dello schieramento".

Cosa dice lo statuto? Dice e ripete da giorni Nichi Vendola: "Io credo che sia difficile dire no alle primarie, per un partito che le ha addirittura nel suo statuto". Ma è veramente così? Citato molto spesso, lo statuto del Pd viene raramente letto.
In realtà, malgrado quello che si pensa dedica due articoli importanti ai diversi casi, e fornisce indicazioni anche in caso di primarie di coalizione. Gli articoli in questione sono due. Tolti quelli che parlano dell’elezione del segretario, il primo che prevede le primarie è l’articolo 18, che al comma 4 recita: "Vengono in ogni caso selezionati con il metodo delle primarie i candidati alla carica di sindaco, presidente di provincia e presidente di regione. Qualora il Partito democratico concorra con altri partiti alla presentazione di candidature comuni per tali cariche, valgono le norme contenute nell’articolo 20 del presente statuto".
Un altro comma dello stesso articolo (non meno importante), il 9, indica le primarie come strumento di selezione anche nelle assemblee rappresentative. Insomma, l’unico caso in cui secondo lo statuto non si dovrebbe votare, è quello in cui c’è un solo candidato.

Primarie di coalizione. Ma, obiettano molti, tutti i problemi che il Pd affronta in queste ore sono dovuti alla presenza di diversi alleati nella coalizione. Questo nodo era stato previsto proprio dall’articolo 20. Ecco il comma uno: "Qualora il Partito democratico stipuli accordi preelettorali di coalizione con altre forze politiche in ambito regionale e locale – recita infatti il testo del’articolo – i candidati comuni alla carica di presidente di regione, presidente di provincia o sindaco vengono selezionati mediante elezioni primarie aperte a tutte le cittadine e i cittadini italiani che alla data delle medesime elezioni abbiano compiuto 16 anni".
Anche in questo caos, dunque, una indicazione molto perentoria. Senza possibilità di eccezione? Sì, in un solo caso. Anche questo regolamentato da un apposito comma, il numero 3: "Qualora, al fine di raggiungere l’accordo di coalizione, si intenda apportare modifiche ai principi espressi nel comma 1 del presente articolo o utilizzare un diverso metodo per la scelta dei candidati comuni – sostiene infatti lo statuto – la deroga deve essere approvata con il voto favorevole dei tre quinti dei componenti l’Assemblea del livello territoriale corrispondente".
Insomma, per fare a meno delle primarie (cosa che non è accaduta, per ora, né in Puglia, né in Umbria, né nel Lazio) occorre un voto a maggioranza qualificata.

I dubbi di Ceccanti. Ecco perché uno dei principali estensori della carta fondativa del Pd, il senatore Stefano Ceccanti, esprime tutte le sue perplessità sul discorso del segretario: "Mi pare che lo statuto sia molto chiaro. Esiste una regola, chiara: si sceglie sempre con le primarie. E poi esiste una possibilità di deroga solo in un caso”. E invece? "Invece – aggiunge il senatore – di fatto le primarie sono state ostacolate quasi dappertutto. Si modifica di fatto lo statuto, con l’introduzione di un nuovo principio, che è il corollario del discorso di Bersani: le primarie si possono fare, ma anche non fare. Quindi, di fatto, non si fanno più perché spesso creano dei problemi al gioco delle alleanze. Bersani – conclude Ceccanti – aggiunge che è necessario un voto delle assemblee locali. Il che è vero. Ma è un dettaglio rispetto al ribaltamento delle nostre regole interne".

da Il Fatto Quotidiano del 12 gennaio

Articolo Precedente

Fazio e la villa d’oro

next
Articolo Successivo

Milano, la riscossa del garofano

next