La Giunta per le Autorizzazioni a Procedere del Parlamento italiano ha deciso: Nicola Cosentino non deve essere arrestato. I magistrati hanno impiegato molti anni per raccogliere le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e i riscontri alle accuse di nove pentiti che hanno portato alla formulazione dell’accusa per concorso esterno in associazione camorristica contro il sottosegretario all’economia del Governo Berlusconi. Il primo pentito, Dario De Simone, risale al 1996. La prima richiesta di arresto per il coordinatore del Pdl in Campania è del 17 febbraio 2009.

La richiesta alla Camera del Gip Raffaele Piccirillo arriva solo otto mesi dopo. Le accuse sono contenute in 350 pagine fitte di verbali ma la giunta ha deciso di buttarle nel centino in 1 ora e 50 minuti. Altro che processo breve. Non c’era alcun dubbio in realtà, che sarebbe finita così. Mentre chiedono di reintrodurre la vecchia autorizzazione a procedere che bloccava le inchieste e non solo gli arresti, come accade oggi, i politici italiani continuano a usare questa prerogativa come se fosse un privilegio di casta.

Oggi undici deputati si sono espressi contro l’arresto, sei a favore e uno si è astenuto. Si tratta del radicale Maurizio Turco, eletto con il Pd. In realtà Turco era contrario ma si è astenuto solo per potere poi prendere la parola in parlamento quando, con ovvio esito, l’aula si dovrà esprimere sulla proposta della Giunta. I parlamentari nella storia repubblicana non hanno mai concesso il via libera alla reclusione dei loro colleghi. Anche nei casi nei quali la loro colpevolezza era conclamata. Anche quando, come in questo caso, il fumus persecutionis è davvero impossibile da sostenere. Siamo in presenza di una Procura che non ha indagato su Cosentino per decenni nonostante i verbali pesantissimi risalenti al 1996 di Dario De Simone, un collaboratore credibile per i pm che raccontava già allora di aver incontrato il politico durante la latitanza a casa di un cugino lontano.

L’unico caso di autorizzazione all’arresto risale al 1983, e riguardava un parlamentare anomalo come il leader Toni Negri, candidato dal Partito radicale mentre era in carcere, poi uscito, e infine fuggito prima che la Camera desse il via libera al suo nuovo arresto.
E’ interessante leggere i resoconti dei lavori di oggi per scoprire con quale faciloneria i parlamentari abbiano archiviato la pratica. Il rappresentante della Lega Nord, Luca Rodolfo Paolini, parla di “metodi da inquisizione spagnola” e di accuse “senza il benché minimo elemento fattuale”. Poi prende la parola Turco (che dovrebbe rappresentare le ragioni degli elettori del PD). Uno si aspetterebbe una difesa delle ragioni della Procura, come quella che poi faranno le colleghe Marilena Samperi e Anna Rossomando, del PD.

Invece Turco prima si dichiara d’accordo “con le asserzioni del collega Paolini” della Lega, anche se sottolinea però che “queste valgono per tutti e non solo per i parlamentari”. In pratica sarebbe meglio non arrestare nessuno. Non solo Cosentino. Dopo avere assolto l’imputato, Turco passa a mettere alla sbarra i veri colpevoli: la legge e i magistrati. “Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa”, sostiene il novello giurista, “è un assurdo logico”. Nonostante la Cassazione dica il contrario da decenni. E poi basta anche con questi pm napoletani. Turco esprime “dubbi sulla professionalità dei magistrati che hanno condotto l’inchiesta”.

Qualcuno, come il presidente Pierluigi Castagnetti, tenta di riportare il discorso sul merito, sulla scandalosa cogestione di politica e camorra sull’affare rifiuti. Ma è inutile. I fatti sono stravolti. Nella sua accorata difesa della settimana scorsa, Cosentino aveva detto ai suoi colleghi di essere indagato da febbraio 2009. In realtà a quella data risale la richiesta di arresto, che presuppone un lasso di tempo precedente per fare gli accertamenti. I componenti della Giunta prendono per buona la bubbola. Anche l’esponente dell’Udc, Domenico Zinzi, di Caserta, vota contro l’arresto.

Conclusivo il discorso Maurizio Paniz del Pdl: “la Giunta non deve entrare nel merito della vicenda ma limitarsi a verificare se la situazione prospettata possa sovvertire le esigenze della sovranità popolare. Ebbene, Nicola Cosentino è stato eletto dal popolo per svolgere la sua funzione parlamentare e di Governo. Un eletto dal popolo non può essere privato della sua funzione senza validi motivi, che in questo caso mancano del tutto”. A prescindere, senza entrare nel merito.

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