Duecento milioni 776mila euro. La salute della finanza pubblica italiana non dipende certo dai finanziamenti statali ai giornali, però si tratta pur sempre di un quinto di miliardo. Chi avrà la pazienza di leggere le tabelle che pubblichiamo oggi (le ha rese note il governo e Radio Radicale le ha rilanciate nella sua campagna per ottenere il rinnovo della convenzione con il ministero dello Sciluppo economico) scoprirà testate introvabili da tempo in edicola che continuano a incassare milioni di euro e quotidiani locali che se ne accaparrano centinaia di migliaia. Perfino giornali diffusi all’estero e pubblicazioni specializzate in cavalli e scommesse o storici quotidiani che tutti pensavano scomparsi con la prima Repubblica riescono ad avere oltre due milioni e mezzo (ciascuno) di soldi dei contribuenti.

È solo uno dei mille rivoli in cui finisce quella spesa pubblica che adesso, rotta la diga del rigore contabile (qualcuno dice immobilismo) del ministro Tremonti, dovrebbe essere rilanciata cambiando la Finanziaria. Però è una buona sintesi di problemi più generali: i giornali sovvenzionati competono con quelli che vivono di sole vendite in un mercato dopato che premia, come di frequente nel capitalismo di relazione italiano, gli appoggi politici e non l’efficienza imprenditoriale, la capacità di costruire rapporti e non quella di trovare lettori paganti. Non è solo una questione di libertà (e qualità) dell’informazione, ma anche di soldi: quanti altri esempi ci sono come questo tra le pieghe del bilancio?

Duecento milioni 776mila euro non risolvono tutto, ma visto che il denaro è fungibile, basterebbero per sbloccare i progetti di ricerca che, come ha raccontato “Il Fatto”, invecchiano aspettando finanziamenti ministeriali, per stabilizzare i precari nella scuola, o – non sia mai – per ridurre quel debito pubblico il cui costo, notizia di ieri, sta ricominciando a salire e che diventerà sempre più difficile da gestire nella crisi. Ma i governi, non solo questo, preferiscono le spese discrezionali, che danno potere di ricatto costante a chi tiene i cordoni della borsa. E quando si tratta di giornali da cui dipendono la conoscenza e le opinioni necessarie per deliberare (Luigi Einaudi) il danno è maggiore.

da Il Fatto Quotidiano n°31 del 28 ottobre 2009

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