Quando avranno liquidato anche gli ultimi farabutti dalla stampa e dalla Rai, Silvio Berlusconi e la fairy band scopriranno la portata eversiva delle cronache dall’estero. E aboliranno anche quelle.

L’altro giorno, per esempio, Massimo Nava raccontava a pagina 18 del Corriere della Sera, cioè a debita distanza dalle cronache italiane, il processo che si è aperto a Parigi contro l’ex premier Dominique de Villepin e uno stuolo di personaggi eccellenti che rischiano il carcere per falso, calunnia e abuso d’ufficio. Questa specie di Watergate alla francese riguarda un presunto complotto ordito da Villepin, forse d’intesa con l’allora presidente Jacques Chirac, per screditare a suon di dossier taroccati l’eterno rivale Nicolas Sarkozy. E’ l’ ”affaire Clairstream”, la finanziaria lussemburghese sospettata di custodire – scrive Nava – “conti cifrati per grandi affari e commesse militari. Un cd-rom con una lista di nomi comincia a circolare negli ambienti della politica e dei servizi segreti e innesca le indagini della magistratura. Le liste sono state manipolate con nomi inseriti da un esperto informatico legato ai servizi. E il nome-bomba è quello di Sarkozy”. Risultato: Sarkozy denuncia l’arcinemico Villepin e stronca la carriera a chi voleva – sempre secondo l’accusa – stroncarla a lui. Infatti, prosegue il Corriere, appena indagato Villepin viene “isolato dalla sua parte politica”, si ritira dalla corsa all’Eliseo e oggi scrive saggi molto dotti su Napoleone in esilio. Bene hanno fatto i giornali italiani a distanziare le cronache sul processo Clairstream da quelle (eventuali) sulle vicende giudiziarie dei politici italiani, soprattutto uno, il solito. Altrimenti sarebbe subito emerso, anche agli occhi più distratti, il confronto. In Francia c’è un presidente che non ha conti all’estero, tant’è che qualcuno ha dovuto inventarglieli. In Italia non c’è bisogno di inventare nulla: al premier sono state scoperte decine di conti esteri su 64 società offshore. E non è successo niente. O meglio si sono aperti un paio di processi, subito chiusi con la depenalizzazione del reato da parte dell’imputato; e ora arriva il prossimo, quello di Mediatrade, che riposerà in pace grazie al lodo Alfano. E l’opposizione zitta: guai a separare la criminalità dalla politica.

Al momento non sappiamo se Villepin abbia commesso reati. Ma sappiamo che ha commesso un errore madornale: ha sbagliato paese. Fosse nato in Italia, o almeno avesse preso esempio da Papi, i dossier li avrebbe delegati a Pio Pompa e al fido Betulla, o direttamente a Feltri, per non lasciare impronte sul lavoro sporco e poi dissociarsene. Una volta indagato, poi, non avrebbe mai lasciato la politica per darsi alla letteratura, anche perché nessuno (tantomeno la cosiddetta opposizione) gliel’avrebbe chiesto: anzi, si sarebbe ricandidato proprio per questo, per essere rieletto, abolire i suoi reati e poi direttamente i suoi processi con un bel lodo Villepin. Avrebbe potuto impossessarsi di tv e giornali per far ripetere a reti ed edicole unificate che il suo processo è politico e lui un perseguitato da toghe ostili (le celebri “robes rouges”) che tentano di sostituirsi al Popolo. Infilare sua figlia nella proprietà di uno dei pochi quotidiani non suoi, così da ottenere sapidi editoriali di Painblanc, Ostellin e Coques de la Loge contro il moralismo, il giustizialismo e l’i nv a s i o n e di campo delle procure. Infine sistemare un apposito ciambellano alla direzione del TgUnico per occultare lo scandalo e liquidarlo come “go s s i p ”. Uno ancor più servile di Bruno Guêpe. Tipo, ecco, Auguste de Minzolin.

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