Il diavolo si annida nei particolari. Il ricatto, invece, nelle ultime righe dell’odierno editoriale di Vittorio Feltri sul Giornale della famiglia Berlusconi. Destinatario, indovinate un po’: Gianfranco Fini. Il “compagno Fini”, come lo chiama Littorio da quando il presidente della Camera s’è permesso alcune critiche al padrone d’Italia e di Feltri (ricordate il “compagno Montanelli”? Ecco, ci risiamo). Bene, Feltri ammonisce amorevolmente Fini a non tirare troppo la corda: “non gli è permesso tenere un piede nella maggioranza e uno nell’opposizione. Deve risolversi subito”. E soprattutto deve smetterla di difendere i magistrati che indagano sulle stragi e sulle trattative Stato-mafia (“teoremi”). “Perché – butta lì Feltri – oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera”. Ohibò: Fini ha per caso a che fare con la mafia? Macchè. Sentite Feltri: “E’ sufficiente – per dire – ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo”. Segue avvertimento: “Meglio non svegliare il can che dorme”.

E quale sarebbe il can che dorme: forse la magistratura? No: lo stesso Feltri e il suo Giornale che, lungi dal dormire, hanno sempre il colpo, anzi il dossier in canna. Nel libro Papi, quest’estate, eravamo stati buoni profeti. Avevamo scritto di un giro di lettere anonime sul conto di giornalisti cattolici (Dino Boffo). E avevamo aggiunto che Il Giornale, al deflagrare dello scandalo Puttanopoli, aveva subito riesumato a puntate una vecchia inchiesta romana del 1999 su un giro di squillo a disposizione di imprenditori vicini all’allora premier D’Alema: pare che la maîtresse R.F. ottenesse in cambio appalti pubblici, come la stampa di dépliant e volantini per alcune aziende di Stato, e fosse contitolare di una azienda di pr, la Global Media, in società col segretario Udc Lorenzo Cesa. Il Cavaliere si era subito dissociato dal suo Giornale, ancora diretto da Mario Giordano: “Mi tengo lontanissimo da queste cose. Da editore ho stracciato molte foto e molti articoli”. Un bel messaggio: foto e articoli stracciati possono sempre riemergere dai cassetti o dai cassonetti. Anche perché il Giornale “dimenticava” di citare l’”importante leader del centrodestra” menzionato nel 2001 dall’Espresso tra i clienti della call-girl. Di chi si trattava? Ora Feltri fa sapere a Fini che lui sa. Stiamo parlando di una vicenda che, per quel leader di centrodestra, non ha avuto alcun risvolto penale. Una faccenda tutta privata, visto che la maitresse – diversamente dalla D’Addario e da altre Papi-girl, non fu candidata nelle liste del Pdl nè ricompensata con promesse di appalti o interventi pubblici (oltretutto, il leader all’epoca era all’opposizione). In ogni caso, se Feltri sapeva (dal 2000) e riteneva che tutto ciò meritasse di essere pubblicato con nomi e cognomi, avrebbe dovuto farlo quando ebbe la notizia. Ripescarla oggi, nove anni dopo, guardacaso quando Fini dà noia al suo padrone, non è giornalismo: si chiama racket. Per molto meno, Fabrizio Corona che prendeva soldi per non pubblicare certe foto, è sotto processo a Milano per estorsione. E’ più grave prendere soldi per nascondere una foto, oppure ricattare la terza carica dello Stato per cambiare il corso della vita politica italiana? Aridatece Pecorelli.

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