Il 27 agosto il Telegiornale de La 7 ha ospitato, come è sua (apprezzabile) tradizione, il senatore Marco Perduca; come apprendo da Google, Perduca appartiene al gruppo radicale anche se è stato eletto nelle liste del PD. Digiuno come sono di questi meccanismi squisitamente politici, non capisco bene come una persona che si candida nelle liste di un partito che si oppone allo schieramento di maggioranza, una volta eletto possa cambiare idea e, folgorato come Paolo sulla via di Damasco, passi dalla parte del vecchio avversario; ma tant’è, così è andata.

L’argomento che il senatore Perduca ha trattato è stato quello carcerario, di cui dice di avere buona esperienza avendo passato l’estate, a quanto si è capito, a visitare le carceri italiane. E ha detto che queste carceri sono superaffollate perché ci sono circa 64.000 detenuti e solo circa 41.000 posti. Niente di nuovo, lo sappiamo da molti anni, in particolare dal luglio 2006, quando l’argomento è stato utilizzato come pretesto per un indulto calibrato sulla necessità di far evadere Previti dalla detenzione dorata nel suo mega appartamento di Piazza Farnese a Roma. Da allora, sorprendentemente (?), nulla è stato fatto per risolvere il problema; in particolare non è stato costruito alcun nuovo carcere, il che, come ognuno capisce, è una delle prime cose da fare per una situazione di questo tipo. Forse perché, in realtà, il senatore Perduca ha altre soluzioni in carniere. E, approfittando dell’ospitalità de La 7, le ha spiegate agli italiani.

Ecco, per risolvere il problema carcerario, secondo Perduca, ci va una riforma completa della giustizia e, in particolare, la separazione delle carriere (tra giudici e pubblici ministeri) e la discrezionalità dell’azione penale.

Come spesso succede ai nostri Soloni (Solone era un grande legislatore ateniese vissuto circa 500 anni prima di Cristo; speriamo che non si offenda per questo azzardato paragone), di spiegare in cosa consistano queste due epocali riforme non se ne parla; eppure, se uno non ha una qualche competenza giuridica, cosa voglia dire “separazione delle carriere” e “discrezionalità dell’azione penale” proprio non lo capisce. Sono sempre restato nel dubbio se la costante mancata spiegazione di una così profonda riforma costituzionale si debba all’ignoranza dei molti che ne parlano senza sapere bene quello che dicono; oppure se si tratti di una scelta voluta: perché, se i cittadini sapessero davvero cosa questa gente propone, la caccerebbe via alle prime elezioni disponibili.
Sia come sia, separazione delle carriere vuol dire che i giudici restano a fare i giudici e i pubblici ministeri, che adesso sono magistrati anche loro, diventano “avvocati della polizia” (la definizione è di Berlusconi). Questo significa che, oggi, i pubblici ministeri (che di mestiere fanno le indagini) sostengono l’accusa solo per quelli che ritengono colpevoli; poi il giudice deciderà se condannarli o no. Una sorta di doppio filtro: prima un magistrato PM che indaga solo quelli che ritiene colpevoli e che chiede l’assoluzione per quelli che ritiene innocenti; e poi un magistrato giudice che (di questi) condanna solo quelli che anche lui ritiene colpevoli e assolve quelli che ritiene innocenti. Domani, se passa questa riforma (che è una riforma costituzionale perché la Costituzione prevede appunto una cosa diversa) i pubblici ministeri faranno come qualsiasi avvocato: il loro cliente sarà lo Stato (la Polizia, i CC, la GdF); il loro mestiere sarà quello di difendere le tesi dello Stato davanti ai giudici. Il problema è che lo Stato non dà molte garanzie di imparzialità: sia in certi casi, quando il colpevole è un amico o un amico degli amici (pensiamo a Previti, allo stesso Berlusconi, agli imputati del processo Abu Omar); sia in certi altri, quando il colpevole (presunto) è un avversario politico che fa tanto comodo eliminare. Ecco, in questi casi, il pubblico ministero non avrà scelta: davanti al giudice non sosterrà la tesi giusta (o quella che lui, in piena indipendenza, crede tale) ma quella che gli verrà imposta dallo Stato. Con tanti saluti per l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

La discrezionalità dell’azione penale si posiziona nel medesimo filone: è uno strumento per selezionare i processi che si fanno e quelli che non si debbono fare. Con regolari scadenze, magari ogni anno, il Parlamento o un organo appositamente costruito dalla politica, stabilirà per quali reati si debbono fare i processi e quali invece possiamo lasciar perdere. Oggi non è così: la nostra Costituzione dice che l’azione penale è obbligatoria, cioè per ogni reato si deve fare un processo: che sia un furto in alloggio o il falso in bilancio di Berlusconi. Naturalmente tutto sta nel vedere per quali reati si stabilirebbe che si debbono fare i processi: e che la politica preveda che i reati che le sono abituali (corruzione, frode fiscale, falsi in bilancio, peculati etc.) debbano essere processati credo sia eventualità molto remota.

Adesso che i termini della questione dovrebbero esserci più familiari (speriamo), possiamo tornare alla ricetta Perduca.
Ha detto dunque il senatore che, se si procederà alla separazione delle carriere e alla discrezionalità dell’azione penale, il problema carcerario sarà risolto.

Ora, sempre il senatore Perduca dovrebbe cortesemente spiegarci in che modo la separazione delle carriere dovrebbe consentire questo mirabolante risultato. Un PM “avvocato della Polizia”, in teoria, dovrebbe sostenere l’accusa in un numero di processi molto maggiore di quanto non faccia ora il PM-magistrato. Bene o male, qualche volta (tante volte) il PM-magistrato ritiene che le prove presentate dalla Polizia non siano sufficienti e chiede che l’imputato venga assolto; e, in genere, il giudice la pensa come lui. Oggi, in verità, molti extracomunitari, arrestati per uno dei vari reati previsti dalla legislazione in materia di immigrazione, vengono assolti e scarcerati (quindi in prigione non ci vanno) perché prima il PM e poi il giudice scoprono che le condizioni legali per procedere all’arresto e alla denuncia non c’erano. Un certo numero di presunti spacciatori vengono assolti e scarcerati perché le prove sull’effettivo spaccio della bustina sono carenti: attenzione, questo non vuol dire che non siano spacciatori, solo che la Polizia non è riuscita a fornire prove processualmente valide. E mica si può mandare uno in prigione perché “tanto si sa che spaccia droga”. Insomma, oggi il PM una certa scrematura la fa. Ma domani, quando il suo dovere sarà solo quello di sostenere le tesi della Polizia (ce lo ha detto Berlusconi, ricordatevelo), è ragionevole pensare che di condanne e di conseguenti detenuti ce ne saranno di più. Vero che sempre il giudice deve decidere, alla fine; ma insomma, se il lavoro del PM non lo influenzasse, in un modo o nell’altro, allora questo vorrebbe dire che il problema non esiste: il Pm non servirebbe a niente. Ma, se fosse così, perché discuterebbero (da anni) di separazione delle carriere? Che glie ne importerebbe di un PM che non fa danni? Dunque il PM danni (dal loro punto di vista) ne fa; ed è per questo che vogliono farlo fuori.

In ogni modo, mi pare ovvio che la separazione delle carriere non ha nulla a che fare con il problema carcerario; e, se proprio vogliamo trovare una relazione tra le due cose, in realtà il PM-magistrato produce meno condannati e quindi meno detenuti.
E veniamo alla discrezionalità dell’azione penale. Qui un rapporto tra la riforma proposta dal senatore Perduca e il problema carcerario apparentemente c’è. Se l’azione penale non è obbligatoria, se ogni anno si fanno meno processi, se dunque ci sono meno condannati, in teoria si può sostenere che ci saranno meno detenuti e che le carceri saranno meno affollate. Solo che si tratta di una teoria sballata.

Capiamoci con un esempio. Tutti sappiamo che gli ospedali sono sovraffollati: non ci sono abbastanza letti per tutti i malati. Certo che, se stabiliamo per legge che alcuni malati non possono essere curati, allora il posto in ospedale diventa sufficiente per quelli che restano. Tutt’è a vedere se ci sta bene che la gente malata sia lasciata a morire sotto i ponti.

Ma poi c’è ancora da vedere quali sono i malati che decidiamo di non curare. Perché, certo, se stabiliamo di non curare l’influenza, le fratture, le ferite lacero contuse e insomma tutta la serie di malattie che danno origine alla stragrande maggioranza dei ricoveri ospedalieri; beh allora di posto in ospedale se ne fa. Ma se decidessimo di non curare gli infarti, i tumori di varia natura, le infezioni polmonari fulminanti, insomma le malattie più gravi ma numericamente meno incidenti, di posti se ne farebbero pochini.
Ecco, qualcuno ha qualche dubbio sul fatto che nell’elenco dei reati per i quali non si dovrebbe fare il processo comparirebbero la corruzione, il falso in bilancio, la frode fiscale, il peculato etc?; e che invece si dovrebbe continuare a processare, proprio come si fa adesso, i furti, lo spaccio di droga, gli oltraggi a pubblico ufficiale, i reati degli extracomunitari e tutta la immensa quantità di illeciti che porta all’affollamento delle carceri? E, d’altra parte, pensate seriamente che una maggioranza che ha fatto della pretesa insicurezza sociale e della necessità di tutelare la collettività dai reati commessi da una folla di delinquenti extracomunitari e (bontà loro) anche di qualche italiano proporrebbe di non processare i ladri, gli spacciatori, quelli che violano le leggi sull’immigrazione e insomma la sterminata platea che ogni giorno affolla le aule di giustizia?

E allora, proprio come per gli ospedali del nostro esempio, quanti posti si farebbero disponibili a seguito del risparmio di processi dovuto a questa improrogabile riforma costituzionale? Ve lo dico io. L’85 % dei detenuti è composto da ladri, spacciatori di droga e extracomunitari che hanno violato le leggi sul’immigrazione. Il restante 15 % di assassini, rapinatori, violentatori e altri imputati o condannati per gravissimi delitti. Di falsificatori di bilancio, bancarottieri, corruttori, corrotti, evasori fiscali e gente di questo tipo ce ne sono poche decine. Ecco con la discrezionalità dell’azione penale sarebbero queste poche decine a non intasare le carceri. Gran risultato.

Adesso la domanda finale: ma il senatore Perduca lo sa cosa vuol dire separazione delle carriere e discrezionalità dell’azione penale?; oppure recita il mantra della fazione politica a cui appartiene? E, se lo sa, perché va a raccontare queste cose in televisione?

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