Ci siamo arrivati, finalmente: ora abbiamo gli arresti a furor di popolo e a gentile richiesta del ministro della Giustizia. Nell’ambito della progressiva privatizzazione della sicurezza e della giustizia, è bastato che un giornale, Il Corriere della Sera, raccogliesse il comprensibilissimo allarme del padre di una ragazza uccisa due anni fa a Soverato, che Il Giornale titolasse in prima pagina “La giustizia sta dalla parte dell’assassino”, che altri quotidiani strillassero alle “scarcerazioni facili” e che il Guardagingilli Alfano minacciasse di sguinzagliare i suoi ispettori, perché i giudici di Catanzaro rimandassero in galera il presunto assassino (presunto perché, nonostante la sua confessione, non è stato condannato in via definitiva, ma solo in primo grado). La storia è quella di Barbara Bellorofonte, assassinata – secondo la prima sentenza – dal suo fidanzato Luigi Campise nel febbraio del 2007 in un raptus di gelosia dopo l’ennesima lite.

Questa la successione degli eventi. Reo confesso, Campise viene subito arrestato. Ma due mesi dopo viene rimesso in libertà perché non ricorre nessuna delle tre esigenze cautelari: né pericolo di fuga (si è consegnato ai giudici), né inquinamento delle prove (ha confessato), né ripetizione del reato (non è un serial killer: ce l’aveva solo con la sua ragazza, che ormai è morta). Poche settimane dopo, però, viene di nuovo arrestato per un altro reato: un’estorsione. Intanto, in tempi relativamente rapidi per la giustizia italiana, prosegue il processo per l’omicidio, che si chiude in primo grado nel dicembre del 2008 con la condanna a 30 anni in primo grado: il massimo della pena col rito abbreviato (il pm aveva chiesto l’ergastolo, ma la scelta del rito alternativo ha imposto ai giudici di applicare lo sconto).

I difensori dell’imputato ricorrono in appello per chiedere una pena più lieve. Dunque Campise è un imputato detenuto in attesa di giudizio definitivo. I giudici decidono di non applicargli una nuova custodia cautelare per l’omicidio perché, dopo la condanna in primo grado, essa può essere giustificata solo col pericolo di fuga. Che non sussiste: sia perché Campise non ha mai tentato di fuggire e ha sempre collaborato, sia perché è già in galera per l’estorsione. Anche in quel processo il giovane opta per il rito abbreviato e viene condannato ad altri 4 anni e mezzo: condanna non appellata, dunque definitiva e scontata in carcere. Purtroppo però la condanna per estorsione viene vanificata dall’indulto, che abbuona 3 dei 4 anni e mezzo e il mese scorso provoca la scarcerazione di Campise.

Vedendolo gironzolare per Soverato, il padre della povera Barbara scrive scandalizzato al Corriere: “L’assassino di mia figlia è libero”. Nonostante il comprensibile dolore dei famigliari, non c’è nulla di illegale in tutto ciò: secondo la Costituzione, nessuno è colpevole fino a condanna definitiva e, per arrestare qualcuno, occorrono esigenze cautelari che qui non sussistono (in base alla controriforma del 1995, voluta dai politici terrorizzati dalla galera dopo Tangentopoli, il pericolo di fuga dev’essere “concreto”: in pratica, bisogna sorprendere il tizio con la valigia pronta e il biglietto aereo per l’estero in tasca). Se e quando Campise sarà condannato in via definitiva, dovrà finire in galera e restarci, possibilmente, fino all’ultimo giorno. Prima, no. Ma i giornali, anziché informare correttamente l’opinione pubblica (per farlo, dovrebbero informarsi a loro volta), preferiscono vellicare le fregole dei rondisti ferragostani e tambureggiare sulle “scarcerazioni facili” (che ovviamente non esistono).

Gli house organ di Al Pappone ne approfittano per associare quel che accade a Soverato con l’immancabile “riforma della giustizia” in arrivo in autunno (riforma che, detto per inciso, renderà ancora più lente le procedure della custodia cautelare, visto che sarà disposta non più da un solo gip, ma da un collegio di tre giudici, e ovviamente senza più intercettazioni). Angelino Jolie riesce addirittura a dichiarare che “a volte l’ossequio formale della legge contrasta con il senso profondo di giustizia di ciascuno di noi”. Cioè, ad avviso del ministro dell’Ingiustizia, i giudici non dovrebbero applicare la legge: dovrebbero rivolgersi alla piazza e interrogarla sul suo “senso profondo di giustizia”. Come Pilato dal balcone: chi volete libero, Gesù o Barabba? La risposta della piazza, notoriamente dotata di un senso profondo di giustizia, la conosciamo: Barabba libero e Gesù a morte. Detto, fatto.

Al Fano sguinzaglia gli ispettori, i giudici si prendono paura e, a furor di popolo, rimettono in galera un imputato che fino a qualche giorno fa, secondo gli stessi giudici, non meritava di tornarci. Infatti Campise viene arrestato a casa sua, da dove avrebbe potuto comodamente fuggire durante tutto il can-can politico-mediatico di questi giorni: invece non l’ha fatto, a riprova dell’assenza di qualsiasi pericolo di fuga (unico motivo in base al quale poteva essere riarrestato). Chiunque abbia a cuore la Giustizia, quella vera, dovrebbe chiedere la scarcerazione immediata di Campise e una condanna rapida in secondo e terzo grado, cosicchè possa finalmente scontare la pena, ma solo quando la legge lo prevede, e non quando lo chiedono i giornali o i politici.

Ultimo particolare: senza l’indulto del 2006, Campise oggi sarebbe ancora in carcere a scontare la pena per l’estorsione, dunque la sua scarcerazione non è stata né facile né difficile: è stata disposta in base a una legge, quella dell’indulto, approvata con i voti del centrosinistra (tranne Idv e Pdci), dell’Udc e del centrodestra (tranne An e Lega). Cioè anche con il voto di Angelino Al Fano. Che gli ispettori non dovrebbe mandarli a Catanzaro, ma a casa propria. Ce ne sarebbe abbastanza per far insorgere i soliti garantisti un tanto al chilo, i vari Pigi Battista, Galli della Loggia, Panebianco, Sergio Romano, Piero Ostellino, sempre pronti a tuonare contro il “giustizialismo”, la “giustizia politica”, la “giustizia di piazza”, la “gogna mediatica” e il “circuito mediatico-giudiziario”. Ma questi invece tacciono: per loro sono sempre “facili” le scarcerazioni degli imputati comuni. Invece, quando si tratta di un potente, sono “facili” le manette.

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