C’è un boss mafioso, già condannato all’ergastolo quale mandante dell’omicidio di padre Pino Puglisi, che in questi giorni s’è lamentato per la disciplina carceraria troppo dura. Si chiama Giuseppe Graviano ed è sottoposto al regime speciale del 41 bis. Regime troppo blando? Ma scherziamo? Si è indignata Giovanna Maggiani Chelli, portavoce dell’Associazione familiari vittime di via dei Georgofili: “Noi riteniamo che il regime di detenzione a lui inflitto sia fin troppo blando, vista la possibilità che i mafiosi come lui hanno di fare uscire messaggi dal carcere”.

Parole forti quelle rilasciate alla agenzie dalla signora Maggiani Chelli, ma non riprese da nessun giornale. Eppure il problema c’è ed è grave: a che vale un regime carcerario duro, se poi i boss possono fare filtrare all’esterno le proprie ambascerie? Nelle ultime settimane s’è creato un dibattito a proposito delle dichiarazioni del difensore di Totò Riina, avvocato Luca Cianferoni, latore alla stampa di una esternazione del boss sulla strage Borsellino e sui reali responsabili.

Certo, stiamo pur sempre parlando di un difensore e Dio ci guardi dalla canea che ci si potrebbe attirare contro per lesa maestà dei diritti di difesa. Ma a volte anche i legali vanno un po’oltre il proprio mandato. Dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria fanno sapere che ogni volta che politici o avvocati in visita ai boss hanno rilasciato alla stampa dichiarazioni a nome degli stessi boss (è questo il vero problema, ci dicono) la direzione ha sempre fatto regolare segnalazione alla Procure competenti. Ma non è accaduto nulla. Anche perché finora il vuoto legislativo non aiutava. Di recente, nell’ambito del pacchetto sicurezza in vigore fra pochi giorni, è stata approvata una norma, il 391 bis, che punisce con la reclusione da uno a quattro anni chi consente a un detenuto sottoposto al 41 bis di comunicare con altri in elusione dalle prescrizioni imposte. Nel caso in cui il fatto sia commesso da un pubblico ufficiale o da chi esercita la professione forense si applica la reclusione da due a cinque anni. Dunque se la norma fosse stata già in vigore le parole dell’avvocato Cianferoni sarebbero state reato.

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