Era la notte tra l’11 e il 12 luglio 1979 quando un killer venuto da New York, William J. Arico, “Bill lo sterminatore”,  uccise l’avvocato Giorgio Ambrosoli, su ordine del banchiere mafioso Michele Sindona, nelle grazie di Giulio Andreotti. Il 14 luglio al funerale di Ambrosoli non c’era nessun rappresentante delle istituzioni. L’avvocato tutto d’un pezzo era stato lasciato solo da vivo, quando cinque anni prima aveva assunto l’incarico di liquidatore della Banca Privata di Sindona,  ed era stato lasciato solo da morto, da chi indegnamente rappresentava lo Stato. Ambrosoli si era messo in testa, pensate un po’, che il fallimento della Banca di Michele Sindona non dovesse ricadere sulla collettività. Pressioni, minacce, non fermarono l’avvocato: “A quarant’anni, di colpo, – ha scritto Ambrosoli –  ho fatto politica e in nome dello Stato, non per un partito”.

Ieri nell’Aula magna del palazzo di Giustizia di Milano c’è stata una cerimonia per ricordarlo, tante sedie sono rimaste vuote. Certo, l’ora, le 11.30, è complicata per magistrati e avvocati impegnati in udienza, ma potevano e dovevano essercene di più.  Scorgiamo il neo procuratore aggiunto Ilda Boccassini, Edmondo Bruti Liberati, ex presidente dell’Anm, il giudice Claudio Castelli, la Pm Tiziana Siciliano, il giudice Guido Salvini, l’ex magistrato Giuliano Turone che insieme a Gherardo Colombo indagò sulla P2. Parla il segretario generale della corte d’Appello, Luigi De Ruggiero, “Ricordo le assenze al funerale di Ambrosoli…”, parla l’avvocato generale dello Stato Laura Bertolè Viale:” Ricordo la sua umanità e la sua signorilità eccezionale…”, la presidente del Tribunale, Livia Pomodoro, respinge l’etichetta di eroe per Ambrosoli così come per le altre vittime di mafia e terrorismo: “Definirli così è un alibi, se vogliamo una società civile e democratica ciascuno di noi deve assumersi un parte di rischio….”.

Interviene il presidente dell’ordine degli avvocati Paolo Giuggioli: ”La battaglia di Giorgio Ambrosoli non si è conclusa e forse non si concluderà mai”, aggiunge che grazie all’avvocato Ambrosoli “sono stati ricostruiti dei rapporti e dei fatti”.
Mai però nell’intervento, sia pure rotto dalla commozione, l’avvocato Giuggioli pronuncia il nome di Michele Sindona e dei suoi potenti amici. E’ il turno della Sindaca Letizia Moratti. Con i suoi modi da lady inglese dice di essere “Commossa e orgogliosa perché Milano oggi dimostra di essere una città che non dimentica”. Immancabile l’elogio della sua Giunta anche in questa circostanza. Ha sostenuto che il Comune segue l’esempio di Ambrosoli perché “Abbiamo varato un patto di integrità per la trasparenza negli appalti, tanto che abbiamo già escluso 400 imprese”.

Appena quattro mesi fa la Sindaca è stata condannata dalla Corte dei Conti, per le consulenze che secondo i giudici contabili sono illegittime. Condannati anche l’ex direttore generale di Palazzo Marino Gianpiero Borghini  e l’ex direttore centrale responsabile del settore risorse umane, Federico Bordogna. La Sindaca inoltre è stata condannata dalla Corte dei Conti anche per la nomina di Carmela Madaffari, rimossa da direttore generale dell’Asl di Locri e nominata al Comune di Milano responsabile della Direzione centrale Famiglia e Politiche sociali.

La maggioranza Pdl-Lega ha affossato la commissione antimafia comunale nonostante l’espansione della ‘ndrangheta a Milano e nel resto della Lombardia.

Altro che politica sull’esempio di Giorgio Ambrosoli. La cerimonia è l’occasione per il vice direttore del Corriere della Sera, Gian Giacomo Schiavi per una bacchettata ai colleghi giornalisti che dovrebbero essere più coraggiosi e ricorda l’editoriale di Enzo Biagi quando nel ’70 come direttore de Il Resto del Carlino scrisse: “Il giornale è un servizio pubblico come l’acquedotto e noi non daremo a voi lettori acqua inquinata…”.

Il ricordo finale dell’avvocato ucciso è di Umberto Ambrosoli (aveva appena 8 anni quando morì il padre), le sue parole  sono un monito per tutti: ”Ringrazio da cittadino e da avvocato ciascuno dei presenti. Oggi ricordare qui mio padre e i giudici Emilio Alessandrini e Guido Galli (uccisi dalle Br, ndr) vuol dire lanciare una sfida per essere cittadini fino in fondo, vuol dire dare il meglio di noi stessi senza fornirci alibi per non agire se siamo soli, come non l’ha fatto mio padre. Per lui la solitudine è stato uno stimolo a fare meglio, a non cedere. Ad avvocati e magistrati dico che quando si ha un momento di pigrizia, di sconforto bisogna respingerlo e pensare: “voglio essere orgoglioso di essere un collega di queste persone”.

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