Lobby, foreign fighter e simpatizzanti:
le donazioni estere

di Gianni Rosini



Lobby, foreign fighters e simpatizzanti:
le donazioni estere

di Gianni Rosini

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Le donazioni estere in favore dello Stato Islamico rappresentano solo una minima parte degli introiti dell’organizzazione terroristica, ma hanno ricoperto una particolare importanza soprattutto agli albori del movimento, quando il Califfato e la sua economia ancora non esistevano.

Tra il 2013 e il 2014 lo Stato Islamico ha ricevuto 40 milioni di dollari da sostenitori in Arabia Saudita, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi

Tra il 2013 e il 2014 lo Stato Islamico ha ricevuto 40 milioni di dollari da uomini d’affari, ricche famiglie, lobby e altri sostenitori da Arabia Saudita, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Soldi difficili da rintracciare perché spostati attraverso canali privilegiati tra gli Stati del Medio Oriente. A questi vanno aggiunti quelli raccolti in tutto il mondo e trasferiti attraverso transazioni segrete.

I dollari provenienti dalle donazioni servono a fornire le basi per la creazioni di nuovi movimenti, gruppi o anche semplici brigate da impiegare nei conflitti mediorientali. Le organizzazioni che continuano a sopravvivere esclusivamente grazie ai soldi ricevuti dall’estero sono destinate a rimanere limitate in quanto a numero di componenti e capacità di incidere sulla sorte delle guerre. Quelle che, invece, utilizzano quei soldi per creare una struttura di autofinanziamento, come al-Qaeda o Isis, potranno crescere e diventare protagoniste di conflitti e azioni di più vasta portata. Finanziare questi gruppi dà la possibilità a lobby economiche o religiose di influenzare il loro operato. È anche per questo che dal Kuwait, fino al 2013, sono stati inviati circa 100 milioni di dollari per formare milizie ribelli che rovesciassero il regime di Bashar al-Assad in Siria. Un flusso di denaro che ha trovato pochi ostacoli grazie anche alla libertà di circolazione garantita dal Consiglio di Cooperazione del Golfo che raggruppa sei stati (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi, Oman, Qatar e Bahrein): “una sorta di Schengen nella Penisola”, come lo ha definito Ludovico Carlino, ricercatore del think tank Ihs. L’allargamento del movimento, unito alle dichiarazioni di fedeltà da parte di nuovi gruppi sparsi in tutto il mondo, dalle Filippine all’Algeria, passando per Afghanistan e Libia, ha aumentato il numero di potenziali finanziatori.

“Il flusso di foreign fighters”, fonte report “Foreign Fighters” by The Soufan Group, 2015

I soldi, però, vengono raccolti anche fuori dal Medio Oriente, attraverso una rete di supporter ed emissari, false organizzazioni caritatevoli e Ong fittizie che, con il pretesto di sostenere le popolazioni vittime della guerra, operano ai confini del Califfato inviando denaro, armi e rifornimenti a jihadisti e gruppi paramilitari locali. Le donazioni, cifre non troppo alte per non destare sospetti, vengono raccolte tra donatori inconsapevoli, tra i quali si nascondono, però, anche sostenitori delle organizzazioni terroristiche. Generalmente, i donatori sono anonimi o non possono essere identificati. Le transazioni sono senza riferimenti, così da ostacolare l’individuazione dei flussi da parte delle autorità. Una difficoltà che aumenta quando si tratta di piccole organizzazioni che si appoggiano a strutture più grandi e organizzate, ma inconsapevoli, per inviare le proprie donazioni ai confini dello Stato Islamico. Una volta arrivati alle porte del Califfato, i soldi vengono trasportati all’interno di falsi convogli umanitari o, sempre fisicamente, da corrieri di Isis che controllano le rotte dei traffici illegali.

I miliziani di al-Baghdadi invitano gli aspiranti jihadisti a donare tutti i loro averi alla causa del Califfato

Un percorso, questo, seguito anche dai soldi raccolti tra i circa 30 mila foreign fighter provenienti da circa cento diversi Paesi. Attraverso la propaganda dei reclutatori internazionali e quella diffusa sul web, i miliziani di al-Baghdadi invitano gli aspiranti jihadisti a donare tutti i loro averi alla causa del Califfato. È così che nelle casse di Isis entrano proventi di rapine e spaccio di droga, indennità di disoccupazione, paghette, scoperti da conti correnti bancari. Per far arrivare i soldi al confine turco-siriano, i foreign fighter usano compagnie di trasferimento di denaro.





Il crowdfunding si sviluppa anche online, soprattutto sui social preferiti dai jihadisti, come Twitter, WhatsApp, Facebook o Telegram. I miliziani cercano di attirare il maggior numero di donazioni spiegando ai simpatizzanti cosa può essere fatto grazie alla cifra donata. Dall’acquisto di un fucile alle forniture di munizioni per una brigata di combattenti, dal finanziamento dei campi d’addestramento alle forniture di cibo e medicinali, l’idea di dare un contributo concreto stimola i simpatizzanti a donare i propri soldi.

Il crowdfunding si sviluppa anche online, soprattutto sui social preferiti dai jihadisti, come Twitter, WhatsApp, Facebook o Telegram

Una raccolta fondi che ha cercato anche di sfruttare il Bitcoin: “Non credo che questa formula di finanziamento sia poi definitivamente decollata – dice Carlino – ma di certo è stato fatto un tentativo attraverso la diffusione online di istruzioni per pagamenti attraverso moneta elettronica”.

– Financial Action Task Force (FATF) report “Financing of the Terrorist Organisation Islamic State in Iraq and the Levant”, 2015
– Us Department of Treasury
– Thomson Reuters “The Islamic State – The Economy Based Terrorist Funding”, 2015
– Brookings Institution “Playing with Fire: Why Private Gulf Financing for Syria’s Extremist Rebels Risks Igniting Sectarian Conflict at Home”, 2013
– Matthew Levitt (Washington Institute) “Terrorist Financing and the Islamic State”, 2014
– Guardian “How an arrest in Iraq revealed Isis’s $2bn jihadist network”, 2014
– Washington Post “Islamic State burned a woman alive for not engaging in an ‘extreme’ sex act, U.N. official says”, 2015
– Ihs “Islamic State Monthly Revenue Totals $80 million”, 2015
– Cnn “Inside the $2 billion ISIS war machine” 2015
– Intervista con Ludovico Carlino, Senior Analyst Mena IHS
– Intervista Angela Me, direttore ricerche UNODC
– Financial Times “Inside Isis Inc: The journey of a barrel of oil”, 2015
– UNODC, “Drug Money: the illicit proceeds of opiates trafficked on the Balkan route”, 2015
– Reuters, “Isil committee of research and fatwas n°61”, 2015
– Time, “ISIS Makes a Fortune From Smuggling Migrants Says Report”, 2015
– The Soufan Group “Foreign Fighters”, 2015
– The New Yorker “Five Hostages”, 2015