Renzi impone Lotti ai Servizi e Alfano ministro degli Esteri

Boschi resta, Orlando in forse alla Giustizia: vogliono candidarlo nel Pd contro Emiliano

Di Fabrizio D’Esposito
12 Dicembre 2016

L’incarico arriva prima dell’ora del pranzo domenicale. Paolo Gentiloni, ex rutelliano come lo stesso Matteo Renzi, sale al Quirinale e viene unto democristianamente da Sergio Mattarella. Sarà lui il successore del Rottamatore e oggi dovrebbe esserci già la lista dei ministri: il capo dello Stato vuole un governo in carica per giovedì, importante scadenza per un vertice europeo. E così da ore dentro il Pd e non solo impazza il fatidico totoministri.

L’ossessione di “Luca”, la promozione di Minniti 
Il pezzo forte dell’eventuale esecutivo Gentiloni è il ruolo da assegnare a Luca Lotti, il braccio destro del premier uscente nonché potente e occhiuto sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Per inquadrare la questione Lotti non c’è immagine più efficace del bunker in cui si sono rinchiusi Renzi e i renziani proprio a Palazzo Chigi. Da lì il segretario del Pd ha condotto le sue consultazioni parallele, anziché al Nazareno, fino alla sceneggiata finale della telefonata a Mattarella nella notte di sabato, per comunicare quello che non aveva comunicato la delegazione del Pd al presidente della Repubblica, cioè il nome di Paolo Gentiloni. Adesso, nel bunker renziano, la priorità è non solo confermare Lotti ma affidargli anche la strategica e “sensibilissima” delega ai Servizi segreti. Gli 007 sono stati la vera ossessione di Lotti nel biennio del Giglio magico al governo, scatenando una guerra con il titolare Marco Minniti, ex dalemiano, e che ha investito il nodo della consulenza per la cybersicurezza a Marco Carrai, altro prezioso pilastro del renzismo.

Sms a Gentiloni: “Questa cosa è una vergogna”
A riferire dell’operazione Lotti sono importanti esponenti del Pd. Alcuni anche preoccupati, al punto da spedire qualche sms a Gentiloni di questo tenore: “Spero non ti presterai a questa vergogna”. Testuale. Lotti ai Servizi è infatti un’operazione inquietante per gran parte del Pd, figuriamoci per il resto della politica. Se così fosse, Minniti verrebbe ricompensato con la poltronissima da ministro dell’Interno. Per lui sarebbe un ritorno al Viminale, dopo la casella da viceministro nell’ultimo governo di Romano Prodi. Il risiko avviato coi Servizi a Lotti si completerebbe con lo spostamento di Angelino Alfano, un uomo una poltrona, agli Esteri, lasciati liberi dalla promozione di Gentiloni a premier.

Ma nel bunker renziano c’è un’altra immagine forte. Quella di Maria Elena Boschi, uno dei volti più detestati del renzismo sconfitto il 4 dicembre scorso. “Meb”, come viene chiamata nel giglio magico, non si rassegna a perdere la scena. Raccontano sia entrata furente nella stanza di Renzi, a Palazzo Chigi, richiedendo attenzione e adeguato peso. La risposta, non entusiasmante, sarebbe stata: “Va bene, se vuoi rimanere rimani, ma non alle Riforme, mi pare ovvio”. Lì alle Riforme potrebbe finanche approdare qualche berlusconiano della primissima ora, tipo Marcello Pera o Giuliano Urbani, entrambi convertitisi al verdinismo di Ala. Il partito di “Denis”, legittimato dalle consultazioni di Mattarella, dovrebbe contare anche sulla promozione a ministro di Enrico Zanetti, che ha portato Scelta civica a fondersi con Ala. Altro ingresso potrebbe essere quello di Lorenzo Guerini, magari all’Istruzione al posto della disastrosa Giannini. Guerini è uno dei due vice di Renzi al partito: la sua nomina a ministro potrebbe significare l’arrivo di Maurizio Martina al Nazareno, da nuovo vicesegretario: l’ex bersaniano è cresciuto molto nelle gerarchie interne del Pd renziano e agli occhi del premier uscente ha il merito di avergli portato in dote la Coldiretti, l’organizzazione che è stata la spina dorsale della campagna per il Sì.

Le conferme: da Padoan a Franceschini e Delrio
Vari, invece, i ministri confermati. Padoan, ovviamente. Poi Pinotti, Delrio, Franceschini. In teoria anche Andrea Orlando sarebbe iperconfermato ma ieri pomeriggio il guardasigilli uscente ha manifestato forti dubbi. Le sue riserve hanno a che fare con le dinamiche che si apriranno da oggi nel Pd. Nel senso che Orlando viene giudicato da molti antirenziani della minoranza come il candidato segretario ideale da contrapporre a Renzi nel prossimo Congresso, ribaltando così gli attuali equilibri interni. Orlando guida con Matteo Orfini la corrente dei Giovani turchi e ha un’antica consuetudine con Bersani. Il suo nome, non quello di Roberto Speranza, leader della minoranza, potrebbe persino arginare, secondo questi ragionamenti, la prorompente discesa in campo di Michele Emiliano data ormai per scontata. In pratica Orlando rinuncerebbe al posto da ministro per preparare la sua battaglia congressuale. Al contrario se dovesse entrare, la minoranza dem continuerebbe a cercare un candidato forte contro Renzi.

Un “no” certo, infine, è stato quello di Gianni Cuperlo, altro leader della minoranza che nelle ultime settimane della campagna referendaria si è spostato clamorosamente sul Sì. I renziani hanno provato a convincerlo ma il rifiuto è stato netto. E a scanso di equivoci, c’è da segnalare che alcuni bersaniani ieri hanno tenuto spento il telefonino per tutto il pomeriggio, per evitare tentazioni, soprattutto.

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