Terrorismo, questa intelligence è poco intelligente

26 Maggio 2017

Tre domande (forse ingenue) sul terrorismo.

1) È vero che l’equazione immigrazione uguale stragi continua a portare voti alla destra xenofoba e razzista? È la famosa formula detta dei Le Pen, riveduta e corretta da Matteo Salvini, altro studioso della materia. Come nella fisica dei corpi un recipiente non può essere riempito da un liquido (o di paura) oltre le dimensioni date, così in politica il faccione televisivo del capo leghista con i suoi cupi presagi hanno probabilmente già fatto il pieno. Del resto, alla vigilia delle Presidenziali francesi l’attentato islamista sugli Champs-Elysées e l’uccisione di un agente, non è bastato per consentire alla beniamina del Front National (che invocava come misura minima l’immediata chiusura delle frontiere) quel colpo di reni indispensabile per battere Emmanuel Macron. Anche nell’intrattenimento tv il tema denota una certa stanchezza. Il casting classico: immagini dei tagliagole Isis più leghista incazzato più imam ambiguo più pidino cerchiobottista raramente suscita gli ascolti (e le urla) di un tempo. Tanto che Salvini dopo la strage di Manchester si è visto costretto a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Ha infatti dichiarato che in Italia non ci sono attentati terroristici perché “il governo è complice”. Di chi? Di quelli naturalmente che “entrano ed escono e fanno quello che vogliono”. Tirate una riga e fate la somma: anche se l’aritmetica salviniana non lo dice (ancora) che Gentiloni e Al Baghdadi se la intendono, poco ci manca.

2) Allora come mai l’Italia, per ora, non è tra i principali bersagli del terrorismo? Forse perché il nostro paese non è (ancora) in prima linea in Siria e in Iraq nella guerra al Califfato. Soprattutto perché il collaudato modello del nostro sistema di sicurezza si è giovato dell’esperienza acquisita durante gli anni di piombo che portarono alla sconfitta del terrorismo interno. Con tutti gli scongiuri del caso.

3) È vero che molte stragi terroristiche si sarebbero potute evitare se le maglie della sicurezza e delle intelligence fossero state più strette? A chi critica la scarsa efficienza degli Stati europei (e la cronica mancanza di coordinamento) viene contrapposta la tesi fatalista. Quella secondo cui controllare migliaia di cellule mimetizzate nell’immensità metropolitana è come cercare il classico ago nel pagliaio. Può darsi, anche se uno dei fratelli franco-algerini Kouachi, autori dell’assalto nella redazione di Charlie Hebdo (7 gennaio 2015, 12 morti, 11 feriti) era da tempo nella lista nera dell’antiterrorismo. Senza contare che di guardia al giornale più minacciato del pianeta c’era un solo poliziotto, prontamente abbattuto. Vogliamo aggiungere che il 6 gennaio i servizi algerini avevano avvertito i colleghi di Parigi che qualcosa di grosso si stava preparando? Che il 13 novembre successivo, giorno delle stragi del Bataclan e dello Stade de France (129 morti) i terroristi impazzarono per ore nel centro di Parigi senza apparente contrasto militare? Che l’autista del Tir della strage di Nizza (14 luglio 2016, 84 morti), arrestato e poi rilasciato un mese prima, poté irrompere sul lungomare superando controlli inesistenti e travolgendo una misera transenna? Che il 22 marzo, in Belgio; gli attacchi suicidi all’aeroporto di Bruxelles e alla stazione metro di Maelbeck avvennero per la conclamata inefficienza di chi nulla controllò? Vogliamo ricordare che il parroco della chiesa di Rouen fu sgozzato (26 luglio 2016) da un islamico in regime di controllo giudiziario mediante braccialetto elettronico? L’elenco potrebbe proseguire a lungo ma, per ora, fermiamoci a quanto dichiarato a Repubblica, dopo la strage di Manchester, da Raffaello Pantucci, esperto del Royal United Service Institute di Londra: “Certamente un attentato come questo dimostra che i servizi segreti britannici hanno sbagliato qualche cosa”.

Donald Trump ha detto che non è in corso alcuna guerra di civiltà o di religione, bensì tra il bene e il male. Ok, basterebbe però che il bene si organizzasse meglio. Ma che soprattutto, come ha detto al Fatto Quotidiano lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua dopo il mega accordo commerciale con l’Arabia, il presidente americano la smettesse “di vendere armi a una nazione che ha sostenuto e foraggiato proprio al Qaeda e l’Isis”.

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