l’intervista - Caterina Malavenda

“Ma la privacy è più debole se la notizia è sul potere”

L’avvocato esperta di informazione spiega quali sono i limiti per i giornalisti e che cosa dicono le leggi e la Corte europea

21 Maggio 2017

“Un atto d’indagine, anche se riservato, se è d’interesse pubblico un giornalista ha il dovere di pubblicarlo. Poi, se ci sono contestazioni, alla fine chi decide è il giudice, che può condannare il cronista o assolverlo”. L’avvocato Caterina Malavenda, penalista ed esperta di diritto dell’informazione, mette qualche paletto riguardo alle polemiche di questi giorni sulla telefonata tra Matteo Renzi e suo padre Tiziano pubblicata sul Fatto Quotidiano.

Avvocato, partiamo dall’inizio. Cosa prevede la legge?

La legge dice che gli atti che un indagato non conosce sono riservati, quindi non possono essere pubblicati. La legge punisce chi li pubblica, per pubblicazione arbitraria di atti d’indagine, con arresto o ammenda. Se l’imputato paga la metà dell’ammenda prevista (129 euro, ndr), il reato si estingue. Se invece il giornalista istiga o spinge il pubblico ufficiale a passargli certi atti, allora può essere condannato per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio.

Qualcuno avanza l’idea di aumentare quella pena pecuniaria…

Una contravvenzione troppo alta può essere un deterrente e indurre il giornalista a non scrivere una notizia. Se la somma prevista è tale da dissuadere il giornalista a svolgere il suo lavoro, allora siamo di fronte a una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Se un cronista vìola il segreto delle indagini e pubblica un atto riservato, si può invocare il diritto di cronaca?

Sì, ma occorre valutare se l’atto che il cronista pubblica, commettendo un reato, sia vero e d’interesse pubblico. Chi commette un reato esercitando il diritto di cronaca, non è punibile, così come chi diffama non è punibile se i fatti sono veri. Un giornalista che riporta un atto giudiziario non è tenuto a verificare che i fatti siano veri, ma che l’atto esista, che sia di interesse pubblico e a riportarlo in modo fedele.

L’interesse pubblico, però, a volte contrasta con la privacy.

Le due cose vanno bilanciate. Se l’atto giudiziario riguarda la sfera intima – come le telefonate private delle persone intercettate – è evidente che la privacy prevale e quindi l’atto non può essere pubblicato. Se invece il cronista ritiene che l’atto sia d’interesse pubblico, questo prevale sulla riservatezza delle persone interessate e può pubblicarlo perché rientra nel diritto di cronaca.

Ci può essere il caso in cui non è chiaro se prevalga la privacy o l’interesse pubblico.

Quando c’è una contestazione in tal senso, è il giudice che decide. La legge sulla privacy prevede già che il giornalista possa pubblicare dati personali di un soggetto senza il suo consenso se quel dato è ritenuto essenziale per l’informazione che si vuole dare al pubblico. Dopo di che, è il giudice che stabilisce se la condotta del cronista è giusta oppure no.

Poi c’è privacy e privacy. Quella degli uomini pubblici è più bassa rispetto ai normali cittadini.

La Corte europea dei diritti dell’uomo dice che un uomo pubblico ha una privacy attenuata in rapporto all’attività che svolge. Se un politico non paga la sua domestica, quella sua cattiva abitudine è rilevante ed è giusto che si sappia. La sua condotta personale incide nella sua vita politica, perché i cittadini, sulla base di una notizia, possono decidere di non votarlo.

Per mettersi al riparo dalla fuga di notizie dai tribunali, è sufficiente distruggere le intercettazioni dopo che le parti le hanno selezionate?

Tutte le intercettazioni vengono messe a disposizione della difesa che, dopo averle ascoltate, d’intesa con l’accusa, seleziona quelle rilevanti che verranno utilizzate per il processo. Tutte le altre vengono archiviate fino alla fine del processo e poi distrutte. Ma anche questo non mette al riparo dalla fuga di notizie, perché c’è sempre qualcuno che, nei vari passaggi, ascolta le telefonate e può rivelarle all’esterno. Poi c’è il problema delle fonti.

Ovvero?

Cosa spinge un pubblico ufficiale a passare un atto riservato alla stampa? Preferisco credere che lo faccia perché teme che una notizia che potrebbe interessare l’opinione pubblica rimanga segreta. Anche qui le leggi ci sono, perché la rivelazione del segreto d’ufficio per un pubblico ufficiale è punita severamente. Il problema è che, una volta uscita la notizia, i riflettori si puntano solo sul giornalista e non su chi gliel’ha passata.

Quindi secondo lei le leggi attuali sono sufficienti?

Se ognuno fa bene il suo mestiere, dal giornalista al giudice, sì: bastano le leggi che ci sono. Alla fine la cosa migliore è sempre lasciare la scelta alla professionalità e all’etica del giornalista. Il quale, se sbaglia, paga in prima persona.

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