Marco Travaglio

Direttore del
Fatto Quotidiano

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Lei non sa chi ero io

15 Ottobre 2017

Poveraccio. Un genuino sentimento di pena e compassione attanaglia chi legge la lunga intervista concessa dal fu Matteo Renzi, eccezionalmente non a Chi, ma a Repubblica, dal titolo “Il candidato premier resto io”. Più che un “forum”, un referto di medicina legale che certifica quel poco che resta di un leader finito nel giro di quattro anni sul carrello dei bolliti a ripetere ogni giorno a se stesso che il candidato premier è lui. Anche perché è l’unico a crederci: col 25% nei sondaggi e col Rosatellum, il candidato premier non esiste; il premier verrà scelto dopo ed è molto improbabile che sarà lui (deciderà B., come sempre). Però lui ogni giorno, appena sveglio, si guarda allo specchio e si saluta: “Ehilà, e chi è questo bel ganzo? Ma è il candidato premier! Ammazza che fusto!”. Gli serve come training autogeno, anche per l’autostima, così non pensa ai fiaschi dell’ultimo biennio e soprattutto ai prossimi. Bene fanno però le anime pie di Repubblica – un po’ per carità cristiana, un po’ su richiesta degli infermieri – ad assecondarlo, evitando di comunicargli la triste verità. Il risultato è un patetico delirio senz’alcun contatto con la realtà né con la logica: non una parola di senso compiuto.

1) Domanda ficcante: “Come giudica il Rosatellum?”. Risposta imbarazzante: “Un passo avanti. Non sono entusiasta, naturalmente, perché il 4 dicembre è stato sconfitto il nostro modello istituzionale e il ballottaggio che garantiva la governabilità”. Qualcuno vorrebbe informarlo che il 4 dicembre è stata sconfitta la sua controriforma costituzionale, mentre il ballottaggio è stato sconfitto il 24 gennaio?? dalla Consulta con tutto l’Italicum perché era scritto coi piedi (suoi e della Boschi). Ma poi si preferisce risparmiargli l’ennesimo, inutile choc.

2) “Almeno ci sono i collegi. A me piacciono, anzi ne avrei voluto (sic, ndr) di più”. Qualcuno vorrebbe domandargli perché allora non ne abbia inseriti (anzi inserito) il doppio, ma pare brutto.

3) “Il voto disgiunto lo fa al massimo l’1% degli elettori. È solo un tecnicismo”. Come faccia a sapere che lo fa l’1%, è un mistero, visto che mai s’è votato col Rosatellum e il voto disgiunto. Ma, se anche il calcolo fosse attendibile, il voto disgiunto interesserebbe 350 mila italiani: più di quelli interessati alle unioni civili.

4) Perché mai sarebbe un tecnicismo dare all’elettore non una, ma due scelte – una sul proporzionale, l’altra sul maggioritario- anziché obbligarlo a votare il candidato di collegio e una lista che lo sostiene? Primo motivo: “Per me è un tecnicismo, tanto è vero che avevo dato la mia disponibilità a introdurlo”.
Ecco: tanto è vero. Cioè: c’è una norma buona e giusta; lui si dice disponibile ad approvarla; ma la sua disponibilità trasforma ipso facto la norma buona e giusta in un tecnicismo; ergo non si fa.

5) Secondo: “Avremmo portato la guerra in casa del centrodestra”. Se ne deduce che il compito del leader del centrosinistra è tenere unito il centrodestra (infatti FdI è contro) e far incazzare Mdp, Napolitano e forse, a giorni alterni, Pisapia: cioè portare la guerra nel centrosinistra.

6) Terzo: “Siamo in una fase in cui qualcuno organizza marce su Roma. In cui Di Battista dice che ‘il padre ha dato una carezza a uno col vitalizio’”. Beh, se “qualcuno” organizza la marcia su Roma (probabilmente la famiglia Di Battista), a nessuno sfuggirà l’attinenza della circostanza col voto disgiunto.

7) Quarto: “Se salta il Pd, salta il sistema. Crolla l’argine contro estremisti e populisti”. Ammesso e non concesso che esista qualcuno più populista e più bravo a far saltare il Pd di lui, perché mai il Pd dovrebbe salvarsi col voto congiunto e saltare col disgiunto, se lo pratica solo l’1% degli elettori?

8) E la norma salva-Verdini? “Verdini viene citato in ballo (sic, ndr) per tutto. Se abbiamo le unioni civili è grazie a lui”. Veramente il Pd aveva sempre negato che Verdini fosse decisivo, per non ammettere il cambio di maggioranza e la dipendenza da un plurimputato condannato in primo grado per bancarotta fraudolenta e prescritto per corruzione. Ma, anche se i suoi voti fossero stati decisivi, si spera che fossero gratuiti (se no è voto di scambio). E poi che c’entrano le unioni civili con la licenza ai residenti in Italia di candidarsi all’estero? Sicuro di sentirsi bene?

9) Due terzi dei parlamentari nominati dai capi-partito: altro tecnicismo? No, peggio: “Erano meglio le preferenze”. Quindi sui due fondamenti del Rosatellum – voto congiunto e sistema di elezione del 64% dei parlamentari- il segretario Pd si dissocia dal capogruppo Pd che dà il nome alla legge. L’avesse detto prima, la legge sarebbe diversa. E cosa ne condivide, di grazia? Le 6 pluricandidature a testa? Le finte coalizioni variabili da un collegio all’altro? A meno che Renzi non temesse anche qui di “portare la guerra nel centrodestra” e Rosato non fosse solo il prestanome/prestafaccia. Ma allora chi l’ha scritto il Rosatellum?

10) “La fiducia è uno strumento democratico che permette di fare le leggi. L’ha messa De Gasperi, non Di Battista… Guardate il dito, io penso la luna (sic, ndr). Un atteggiamento elitario, da presunto bon ton di galateo politico che non avrebbe prodotto una legge elettorale”. A parte Di Battista, che Renzi si sogna ogni notte, De Gasperi pose la fiducia solo al Senato, dopo il normale dibattito alla Camera. Restano due precedenti: Mussolini e Renzi. La Costituzione e i regolamenti escludono la fiducia sulle leggi elettorali e chi la impone è un fuorilegge. Come lo scippatore che, se la vecchina chiama il 113, la cazzia: “Signora, io penso la luna e lei guarda il dito: tipico atteggiamento elitario da presunto bon ton di galateo penale, che non avrebbe prodotto la mia refurtiva”.

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