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Il tragico miraggio finlandese del 1938 (o dell’Europa 2017)

Kjell Westö racconta l’impegno dell’avvocato svedese Claes Thune nel preservare la civiltà di un Paese che sta per allearsi con la Germania nazista

26 Aprile 2017

Ci sono anni privi di anniversari, perché sono anni di vigilie, di incubazioni. Eppure sono proprio quelli che andrebbero ricordati, perché lì si trovano le radici e le spiegazioni di quello che verrà dopo. Anni come il 1938. Il 21 di giugno allo stadio di Helsinki, si corrono i cento metri, tutti sono interessati, non solo gli spettatori sugli spalti, perché le Olimpiadi di Finlandia del 1940 sono imminenti. Vince Abraham Tokazier che però ha la sventura di essere ebreo in un Paese che vuole cementare l’alleanza con la Germania nazista, unica alternativa all’ingombrante vicino sovietico. Tokazier quindi nella classifica ufficiale risulta quarto.

Tutti vedono, qualcuno si stupisce, una minoranza si scandalizza, nessuno protesta. In quell’anno sospeso, in un Paese troppo piccolo per essere protagonista e quindi condannato a subire gli eventi senza determinarli, non restano che due scelte: abbandonarsi a questo Miraggio 1938 o rifiutare di farsi anestetizzare, rimanere vigili e sensibili, perché tutte le premesse della catastrofe sono già state seminate.

Kjell Westö è uno dei più importanti narratori finlandesi di lingua svedese, ha vinto molti premi in patria e in Svezia, ora arriva in Italia per Iperborea nell’elegante traduzione di Laura Cangemi: questo denso romanzo si può leggere anche senza la nota storica nella postfazione, che però aiuta. Nel 1938 la Finlandia ha rimosso i traumi di una guerra civile oggi completamente sparita dalla percezione comune della storia condivisa europea, quella tra “Rossi” e “Bianchi”, nel 1918, finita con i nazionalisti che hanno sperimentato sui socialisti tecniche come i campi di affamamento o della morte che sarebbero poi state perfezionate dai nazisti. Come l’autore, anche l’avvocato Claes Thune è finlandese del ceppo svedese. La sua vita segue la parabola del Paese e della civiltà europea: si sgretola, nella sostanziale indifferenza di chi si preoccupa solo di salvare le apparenze.

Il suo migliore amico gli ha rubato la moglie, Gabi, che dopo la separazione si scopre scrittrice di racconti pruriginosi; il nazionalismo del giovane nipote socio di studio determina una rottura professionale, ma anche l’esilio di Thune dalla famiglia, gli amici del “club del mercoledì” vedono – ciascuno nel proprio campo – i semi della catastrofe, ma preferiscono ignorarli. L’unico consapevole è l’ebreo Jogi Jary, che infatti finisce in un ospedale psichiatrico. L’avvocato Thune cerca di preservare almeno nel privato quella civiltà per la quale pubblicamente nessuno sembra più disposto a battersi.

Un po’ si illude, Thune, di creare un’isola di serenità con la sua segretaria, Matilda, in un rapporto platonico e rispettoso. Ma la giovane donna è stata internata nei campi dove le donne dei “rossi” venivano torturate e stuprate, dalle ferite è guarita nel corpo ma non nello spirito.

Il risveglio dal Miraggio 1938 può essere solo nella tragedia. Chi, come Thune, non si arrende all’aria dei tempi quando questa è piena delle tossine dell’odio, può solo combattere una battaglia di civiltà destinata alla sconfitta. Lo straordinario libro di

Westö sarebbe una lettura meno inquietante se l’Europa del 2017 non assomigliasse tanto a quella del 1938.

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